Italia: crisi della politica o politica della crisi?

Crisi e politica
Crisi e politica

Dopo la caduta del Muro e, per successivi assestamenti, arriviamo al punto in cui la società diventa irrapresentabile dalla politica che si autodichiara in crisi per mantenere una centralità. La rappresentanza politica articola così due discorsi paralleli sulla propria crisi. Da una parte lamenta la mancanza di passione politica nella società, dall’altra afferma un modello unico sulla modalità in cui quella passione politica si può esprimere.

La delimitazione della soggettività sociale alla “cittadinanza” e ai diritti civili è un aspetto non indagato dal discorso sulla crisi della politica. La sua dilaettiva con le forme dell’antipolitica è possibile solo oscurando l’esistenza delle classi sociali, diluite nell’ambigua e rassicurante rappresentazione di un astratto cittadno medio, nel quale tutti possono identificarsi. Infatti, non a caso, nell’immaginario collettivo e nelle sue espressioni come il cinema, la tv, la letteratura, raramente trovi espressione l’esistenza di una classe lavoratrice, letteralmente espulsa da ogni possibile articolazione culturale. L’eliminazione dei lavoratori dall’immaginario, ovvero da qualsiasi modello verso cui si possono attivare dei modelli di identificazione, è così assodata che suscita persino un certo scalpore che uno scrittore o un cineasta decidono di affrontare un discorso sulla disoccupazione o sullo sfruttamento. E anche qui, il discorso viene deviato da un terreno di classe ad uno generazionale: è arcinota la narrazione mainstream “giovani precari contro vecchi garantiti”. La sinistra ha contribuito, a suo modo, ad articolare un discorso falso. Alla classe si è sostituito un indistinto “popolo della sinistra”. Anche quando si reclamavano dei diritti sociali, lo si faceva sempre più su basi astratte di cittadinanza. La parabola che ha condotto l’ex PCI all’attuale PD, ha contribuito in modo determinante a qeusto processo. Il falso buonismo veltroniano, il suo “maancheismo”, sono la pietra tombale a qualsiasi discorso di classe che, peraltro, ha trovato un sostituto perfetto nella denomizzazione di Berlusconi.

L’ambito della cittadinanza e dei diritti civili rappresenta l”ambito che la sinistra (radicale e/o responsabile) propone come unica sfera possibile dei processi di presa di coscienza. I richiami alla condizione di classe presentano un tono moralistico (bisogna difendere i più deboli) e hanno come risultato politiche caritatevoli. Se il lavoratore, incluso quello migrante, è rappresentato sempre come il debole, il privo di diritti, è difficile che questi possa sentirsi portatore di un potere di trasformazione e di possibilità inespresse. I discorsi che hanno fatto lega per unificare la sinistra di governo si son retti su una sorta di combinazione tra diritti civili e diritti sociali, mentre i diritti politici venivano dati per scontati perchè identificati con quelli elettorali. Tutta la rimozione della natura di classe dei rapporti sociali è di tripo psicanalitico. Nel nostro tipo di società, la comunità politica è istruita a riconoscersi e legittimarsi attraverso la rappresentaza e non la partecipazione. Nel gioco proposto dal sistema che soggettivizza i percorsi politici esclusivamente sull’individuo o sull’astratto cittadino, si bandiscono tutte le altre forme come antipolitica. La società ne esce polverizzata. La spietata guerra di classe che vede impegnata la borghesia europea e italiana da lunghi anni, viene mistificata dietro presunte leggi economiche, debito pubblico, costo del lavoro, fiscal compact. Totem ai quali inchinarsi. Come uscire da tuttto ciò? Squarciando il velo che copre i rapporti di classe all’interno della società criticando la politica della rappresentanza, della base liberale su cui poggia, delle astrazioni sul cittadino, dell’individuo e del popolo. Ripensando alla democrazia diretta come possibilità di partecipazine alla trasformazione della società, come strumento di esercizio e dispiegamento di un potere da parte di una classe privata di ogni potere.

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