Il Tractatus di Wittgenstein e il solipsismo.

Ludwig Wittgenstein nel 1922.
Ludwig Wittgenstein nel 1922.

Andiamo per gradi. L’affermazione che il solipsismo sia la concezione sviluppata nel Tractatus Logico-Philosophicus di Ludwig Wittgenstein è parzialmente corretta, ma richiede un’analisi molto attenta. Wittgenstein non è semplicemente un solipsista; egli usa il solipsismo come una conseguenza logica della sua teoria del linguaggio per poi trascenderlo.

Il tuo pensiero solleva tre punti cruciali che meritano di essere approfonditi:

  1. la natura del solipsismo nel Tractatus;
  2. l’inaccessibilità della mente dell’altro;
  3. il legame tra inaccessibilità e “volontà di potenza”.

1. Il solipsismo nel Tractatus di Wittgenstein.

Nel Tractatus Logico-Philosophicus (1921), Wittgenstein arriva a una conclusione apparentemente solipsistica, ma la sua interpretazione è radicalmente diversa dal solipsismo tradizionale.

Il solipsismo “Trasformato” (Tesi 5.6-5.641). Wittgenstein afferma: “Ciò che vuole il solipsismo è perfettamente corretto, solo non si può dire, ma si mostra” (Tesi 5.62). Non è un solipsismo psicologico: Wittgenstein non intende dire che esiste solo la sua mente individuale (un ego isolato). Un solipsista psicologico crede che tutti gli altri siano finzioni. È un solipsismo linguistico/logico: la sua tesi è che i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo. Tutto ciò che può essere pensato o detto in modo significativo è delimitato dal mio linguaggio logico. Per cui la logica del linguaggio non mi permette di parlare di nulla al di fuori del mio mondo (cioè, al di fuori dei fatti descrivibili), poiché la logica è ciò che io, come parlante, devo condividere per capire il mondo, il mondo è il mio mondo.

Vediamo l’identità tra ego e mondo. Il soggetto di cui parla Wittgenstein non è la persona empirica (il corpo o la mente psicologica), ma il limite del mondo. L’io solipsistico si contrae fino a un punto senza estensione (un punto metafisico, non un corpo). L’identità che viene stabilita è tra l’Io metafisico (il limite del linguaggio) e il mondo (i fatti logici). Alla fine, il solipsismo del Tractatus svanisce in un idealismo trascendentale o realismo puro (a seconda dell’interpretazione), dove il mondo e l’io come limite coincidono, e la filosofia si dissolve in ciò che può essere mostrato, ma non detto (l’etica, il mistico).

2. L’inaccessibilità della mente dell’altro.

La premessa che “la mente dell’altro ci è inaccessibile” è, come correttamente identificato, il punto di partenza per molte concezioni solipsistiche e per il primo Wittgenstein. Tuttavia, il secondo Wittgenstein (nelle Ricerche Filosofiche) attacca questa premessa stessa (come visto nella critica al linguaggio privato). Il primo Wittgenstein ammetteva l’inaccessibilità, confinando l’altro al di fuori dei limiti del mio linguaggio/mondo. Il secondo Wittgenstein ritiene che la nozione stessa di una “mente interna” inaccessibile è un’illusione linguistica. Non posso avere un linguaggio per le mie sensazioni se non imparo tale linguaggio in un contesto pubblico (i “giochi linguistici”). Se l’altro piange e si tiene la gamba, il concetto di “dolore” non si riferisce a una sostanza interna invisibile, ma al comportamento pubblico che tutti noi condividiamo e riconosciamo. L’altro non è inaccessibile, è semplicemente parte del mio gioco linguistico. Le sue espressioni e reazioni sono i criteri per l’uso delle mie parole. Quindi, mentre il Tractatus accetta e trascende l’inaccessibilità, le Ricerche Filosofiche la nega alla radice, ponendo l’Altro al centro della nostra comprensione del linguaggio e della mente.

3. Inaccessibilità e volontà di potenza.

L’associazione che stiamo proponendo: “L’altro rimane inaccessibile, il volersi fondere con un altro è anche volontà di potenza” è una connessione suggestiva e profonda, che ha risonanze con la filosofia di Friedrich Nietzsche. La volontà di fusione come potenza: se l’altro è un mistero irriducibile e inaccessibile, il tentativo di “fondersi” o “appropriarsi” della sua interiorità può essere interpretato non come amore, ma come un impulso di dominio. La “volontà di potenza” (Nietzsche) è la forza fondamentale che spinge ogni organismo a crescere, superarsi e imporsi. Nell’ambito relazionale, il desiderio di superare la distanza e l’inaccessibilità dell’altro può manifestarsi come il tentativo di annullare la sua alterità per ridurla a estensione del proprio Io.

L’altro come limite alla potenza: l’inaccessibilità stessa dell’altro (il fatto che l’altro è sempre altro) funge da limite insormontabile alla mia volontà di potenza. Questo limite è ciò che rende possibile, in alcune filosofie (come quella di Emmanuel Lévinas), la nascita dell’etica. Se potessi assorbire totalmente l’altro, non ci sarebbe più alterità e, forse, neanche più moralità. Quindi, l’inaccessibilità, che è un punto di partenza per il solipsismo logico di Wittgenstein, diventa, in una prospettiva etica e nietzschiana, il campo di battaglia tra il desiderio di dominio (volontà di potenza) e la necessità del rispetto per l’alterità.

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About the Author

Sergio Mauri
Blogger, autore. Perito in Sistemi Informativi Aziendali, musicista e compositore, Laurea in Discipline storiche e filosofiche e in Filosofia. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d'Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014, con PGreco nel 2015 con Historica Edizioni e Alcova Letteraria nel 2022 con Silele Edizioni (La Tela Nera) nel 2023 e con Amazon Kdp nel 2024 e 2025.