1.La vita.
Nasce a Recanati il 29 giugno 1798, da Monaldo (conte) e Adelaide Antici (marchesa) rappresentanti della piccola aristocrazia terriera picena, conservatrice, bigotta e legittimista. Cresce in un ambiente rigido e reazionario. Le condizioni economiche vacillano, ma rimangono decenti grazie all’amministrazione controllata. Giacomo studia con dei precettori clericali. Negli anni “di studio matto e disperatissimo” raggiunge elevati livelli di erudizione, ma a costo di rovinarsi la salute e il fisico. A casa si sente oppresso e controllato. Si applica all’esercizio della poesia, alla ricerca del bello. Prime liriche: Inno a Nettuno; l’idillio Le rimembranze; la cantica Appressamento della morte.
Nel 1817 inizia la corrispondenza col letterato piacentino Pietro Giordani, classicista laico e illuminista. È un rapporto decisivo: rompe con le idee del padre. Fase del pessimismo storico. Scrive le prime due canzoni civili; tenta la fuga da casa, ma non ci riesce. Matura la definitiva conversione filosofica all’orizzonte sensista, ateo e materialista. Nel novembre del 1822 sfumano a causa del padre le ipotesi di impiego all’Università di Bologna e presso la Biblioteca Vaticana.
Ottiene di potersi recare a Roma dagli zii Antici. Il soggiorno deludente a Roma, l’ambiente letterario attardato e mediocre è fonte di disincanto. Prende coscienza della sua diversità e alienazione di fronte al mondo e alla natura. Dà l’addio alla poesia con Alla sua donna (1823). Elabora una serie di prose satiriche e dialoghi filosofici: le Operette morali. Fase del pessimismo cosmico. Nel 1825 arriva l’invito dell’editore milanese Stella per l’incarico di sovrintendere all’edizione delle opere di Cicerone. Poco dopo realizza un commento al Canzoniere di Petrarca, realizza due antologie della letteratura italiana sia di poeti, sia di prosatori. È economicamente indipendente. Nel novembre 1826 rientra a Recanati per passarvi l’inverno. Nel giugno 1827 raggiunge Firenze. Leopardi in teoria avversa il Romanticismo. A Firenze conosce e frequenta, non senza dissapori e contrasti, scrittori e intellettuali di indirizzo cattolico-moderato: Alessandro Manzoni, Niccolò Tommaseo, Giovan Battista Niccolini, Gino Capponi, Giuseppe Montani, Pietro Colletta e Antonio Ranieri, napoletano, con cui Leopardi si legherà in un intenso sodalizio a partire dall’autunno del 1830. Nel novembre 1827 si trasferisce a Pisa alla ricerca di un clima più mite. Nell’aprile 1828 scrive Il risorgimento e A Silvia, avviando la stagione del cosiddetto “ciclo pisano-recanatese” dei canti. Nel novembre del 1828 è costretto a tornare fra le mura domestiche essendo venuto meno il sostegno della provvigione dello Stella. Si divide tra depressioni e impulsi creativi: nel 1829 vedono la luce: Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Canto notturno.
Il soggiorno a Recanati dura 16 mesi. Alcuni conoscenti lo fanno trasferire a Firenze, per mezzo di un prestito in denaro, in seguito alla mancata vittoria delle Operette morali al premio indetto dall’Accademia della Crusca. A Firenze esce la prima edizione dei Canti. A ribadire, forse, la sua distanza rispetto alle posizioni dell’intellighenzia liberale e moderata, nel 1831 rifiuta l’ennesima proposta di collaborazione fatta dal Viesseux. Soggiorna brevemente a Roma; ritorna a Firenze dove compone gli ultimi due dialoghi delle Operette. Scrive un gruppo di liriche legate alla passione non corrisposta per Fanny Targioni Tozzetti (ciclo di Aspasia). Detta l’appunto finale dello Zibaldone. Nell’ottobre 1833 usufruisce di un assegno fisso dalla famiglia. Si trasferisce a Napoli con Ranieri. Napoli allevia il suo stato di salute. Tuttavia, la vita culturale (spiritualistica e ottimistica) è distante dalle convinzioni leopardiane.
Leopardi sente la necessità di affermare il proprio pessimismo radicale contro il progressismo della borghesia contemporanea. Scrive la satira I nuovi credenti (1835), Palinodia al marchese Gino Capponi, il poemetto Paralipomeni della Batracomiomachia. I Canti e le Operette vengono confiscati dalla polizia borbonica. È amico di Basilio Puoti (classicista e purista) maestro di De Sanctis; di August von Platen. Assieme ad Antonio e Paolina Ranieri passa lungo tempo presso l’avvocato Giuseppe Ferrigni, ai piedi del Vesuvio, anche per sfuggire al colera a Napoli. Compone: Il tramonto della luna e La ginestra o il fiore del deserto. Muore a Napoli il 14 giugno 1837 a soli 39 anni.
2. La poesia.
Primo tempo: le canzoni del 1818-23 e la poesia idillica.
Sono dedicate a Vincenzo Monti. Letture di illuministi francesi: J. J. Rousseau, Pietro Giordani.
Nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, critica i romantici ed espone gli elementi fondamentali della sua concezione poetica. Come i romantici registra la discontinuità col passato, ma a differenza loro rifiuta un’arte spirituale e consapevole. Crede che la poesia debba continuare ad avere un rapporto con la natura. Rifiutando il presente ci si può volgere al passato e ai suoi modelli per mantenere vivi gli ideali di virtù e gloria. Coglie le eredità del modello civile petrarchesco filtrato dai secoli XVI e XVII. L’esperienza lirica leopardiana è rivelazione integrale della soggettività, in linea con le massime prove romantiche europee. Dà voce al piacere dell’immaginazione, per mezzo della ricerca di una espressività polisemica. Non crede al potere consolatorio delle illusioni.
Secondo tempo: le grandi canzoni libere.
Approfondisce la propria filosofia negativa fondata sulla teoria del piacere di matrice sensistica e meccanicistica che imputa la causa del dolore umano alla sproporzione tra l’illimitato bisogno di felicità dell’uomo e l’oggettiva scarsezza delle opportunità di soddisfacimento. Fase del pessimismo cosmico (natura matrigna). Speculazione filosofico-materialistica. Vago e indefinito rappresentano ancora il carattere specifico della sua poesia, ma taglia con le illusioni e con la natura: analizza ora piuttosto il flusso delle emozioni e delle sensazioni. Cade ogni contrapposizione tra poesia e filosofia, denuncia pacatamente la scoperta amara della verità e crudeltà degli inganni di una natura sempre e per sempre matrigna.
Ultimo tempo: dai canti fiorentini alla Ginestra.
Firenze e Napoli sono più impegnative e per lui importanti. Frequenta a Firenze circoli e salotti alla moda grazie a Ranieri: ciclo di Aspasia. A Napoli si confronta con le posizioni moderate, liberali, progressiste, cattoliche e spiritualiste. Diviene orgogliosamente cosciente della propria visione pessimistica e materialistica.
La lucida sintesi estrema è La Ginestra o il fiore del deserto, dove la denuncia si mescola alla proposta. La poetica degli anni Trenta opta per la dimensione presente, della prossimità e della concretezza, nello schema formale della canzone libera.
Il tema della morte torna al centro della ricerca delle “canzoni sepolcrali”. Nelle liriche abbiamo il motivo della solidarietà. Nella Ginestra: simbolo della fragile, ma ostinata, resistenza della vita di fronte alla forza distruttiva della natura: l’umile ginestra davanti alla crescita della lava alle pendici del Vesuvio, come l’uomo deve piegare il capo davanti alla crudeltà del proprio destino, fuor da ogni facile ottimismo consolatorio e mistificante, nella convinzione che l’unica reazione possibile alla propria infelicità e oppressione della natura risieda in un’alleanza di verità, fratellanza e mutuo soccorso fra tutti gli esseri umani.
3. La prosa.
Lo Zibaldone.
È una raccolta di appunti e riflessioni in forma di dialogo (circa 4500 pagine) che l’autore stende fra il 1817 e il 4 dicembre 1832 (dall’otto gennaio 1820 le annotazioni sono tutte datate). Coerentemente al titolo contiene più argomenti, con prevalenza discreta di episodi autobiografici e impressioni dirette. Lo Zibaldone rimane pressocché sconosciuto fino all’edizione della Casa Editrice Le Monnier del 1898-1900 curata da Carducci. È un laboratorio intellettuale dove decantano i motivi poi ricorrenti: natura e civiltà, vero e illusioni, felicità e dolore, piacere e noia. Per Leopardi dobbiamo scoprire e accettare l’infelicità della condizione umana.
Le Operette morali.
Progetto si compie tra il 1823 e il 1827. Il 1827 è l’anno della princeps milanese che contiene 20 testi iniziali. Altre due edizioni provvisorie escono a Firenze (1834) e a Napoli (1835). Quella definitiva è postuma del 1845, curata da Ranieri. Le Operette sono 24. Opera riflessiva e satirica.
4. La fortuna.
Le Operette morali sono incluse nell’Indice dei libri proibiti. È autore sottovalutato e misconosciuto fino ai primi del Novecento, eccezion fatta per Pietro Giordani. Di lui non si accetta la sua sfiducia nel progresso, né il rigore del suo pessimismo. De Sanctis ne forza e inventa il mito di Leopardi patriota e prerivoluzionario. Benedetto Croce illumina il primato artistico della poesia leopardiana tenendone in ombra le parti filosofiche e ideologiche.
Walter Binni e Cesare Luporini sgretolano l’idea desanctisiana e rivalutano il Leopardi della componente filosofica, pessimistica ed eroica, in corrispondenza pure coi modelli socialisti del XIX secolo. In questo solco si muove Sebastiano Timpanaro. Più recentemente si è allargato e parzialmente modificato l’orizzonte preesistente a opera di Luigi Blasucci, Franco Brioschi, Gilberto Lonardi, Pier Vincenzo Mengaldo, Marco Santagata, riguardante la complessità epistemologica e letteraria dei Canti e delle Operette. Si è diffuso anche un modello di ricezione irrazionalistica e nichilistica da parte di Cesare Galimberti e Antonio Prete.