Heidegger e l’identità. Note.

Heidegger e l'identità. Note
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di Sergio Mauri

Abbiamo capito che Heidegger, sullo sfondo della sua teoria generale dell’Esserci, parla di identità e delle sue possibilità. Egli ha premesso che il suo discorso non è morale e infatti alcuni (forse la maggior parte) di essi non possono che essere omessi, parlando quindi della fatticità delle cose e degli Esserci, fuori da ogni giudizio morale.

Per affrontare, molto velocemente e parzialmente, la questione dell’identità, partiamo da alcuni ragionamenti. Nel mondo attuale la logica delle identità è ancora (molto) attiva, segno che ci sia un problema molto vivo intorno a essa, un problema che si ricrea continuamente. La logica delle identità non è stata superata, si è rimescolata abilmente in un dinamismo in cui tuttavia continua a riproporsi come punto di riferimento stabile, tradotto meglio come statico. Il fatto che esista un’identità e poi tutto ciò che differisce da essa faccia parte di uno stratagemma epistemologico molto efficace che consiste nel credere di poter fare ricerca da una posizione distaccata, neutrale ed esterna alla cosa studiata, è un problema che caratterizza proprio in primis la questione. Per studiare l’altro da noi (o quello che è in noi) adottiamo una serie di tecniche “oggettive” tali da non contaminare con la nostra soggettività  la rappresentazione della differenza. Ciò vale anche per la costruzione dell’identità in cui la sociologia pensa si possano studiare dall’esterno la società e in cui, specularmente, da “dentro” ci mettiamo a esprimere giudizi sull’identità o l’essenza delle cose. Dunque, la ricerca sociale che presume di essere neutra mentre sopprime tutti i punti di osservazione locali, dimostra tutta la sua parzialità e i suoi limiti. Quindi, il mondo è si presentato come un insieme complesso, tuttavia, composto da molteplici identità locali “semplici”, cioè legate a un rapporto “essenziale” (e univoco) con un certo spazio. Tutto ciò che sta fuori viene concepito come un universo da esplorare e codificare per mezzo di quella oggettività di cui sopra. Si naturalizzano punti di vista per forza di cose parziali, soggettivi, risultati del tempo e del luogo che li ha generati.

Il discorso, pertanto, che si delinea già da queste poche righe è di tipo politico, già nell’affermare che qualsiasi definizione di identità non può che essere valida momentaneamente ed emerge attraverso la differenza, è parziale e plurima. L’identità è dunque un processo piuttosto che il risultato di un processo. Quindi, è evidente che nella caratterizzazione dell’Esserci heideggeriana sia essa generalmente o singolarmente intesa, lo spazio dell’Esserci può essere riempito in modo libero e “a piacimento”. In fin dei conti anche a livello singolare/individuale tale caratterizzazione non si applica mai a un individuo concreto, “con nome e cognome”, con una sua storia, un suo passato e un suo presente. È un open source, la concezione heideggeriana, valida innanzitutto linguisticamente. Presuppone un “Dio per tutti e ognuno per sé”. Una scappatoia valida sempre e comunque, per me come per voi e, soprattutto, per Heidegger in primo luogo. Ognuno scelga e faccia propria un’identità, se la costruisca, al riparo da giudizi morali.

E l’ostilità verso la concretezza di cui sopra (il termine fatticità non è casuale) in Heidegger è seconda solo all’ostilità verso i portatori della stessa, gli esseri umani, riuniti in “massa”, facenti parte di quella “massa” che solo un’élite che abbia compiuto il salto ontologico e sia quindi uscita dalla quotidianità, può tenere al suo posto.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger e ideatore e-learning. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Terra d’Ulivi nel 2007 e nel 2011, con Hammerle Editori nel 2013 e 2014 e con Historica Edizioni nel 2022.
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