Centenario della Grande Guerra e settantesimo della Liberazione.

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In un articolo di qualche giorno fa, Aldo Giannuli, sul blog che anima con grande acume, ci dice la sua opinione sull’anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia e lo confronta con il 70° della Liberazione dal nazifascismo. Innegabilmente, sostiene Giannuli, il centenario dell’entrata in guerra dell’Italia ha avuto più riscontro, tra gli italiani, che non quello del 70° della Liberazione.

La ragione, secondo lo storico, ha a che fare con il fatto che l’uomo contemporaneo, antropolicamente diverso da quello di 70 anni fa, non riesce a capire più il mondo della Resistenza, o meglio quel mondo non è più in grado di dirgli niente, o quasi. Il mondo di 70 anni fa era un mondo fortemente politicizzato, nettamente ed inconciliabilmente diviso fra fascismo, democrazie liberali e comunismo. Un mondo con cui oggi è difficile riconoscersi, mentre quello della 1^ guerra modiale, uno scontro imperialista – certo – ma non strettamente politico, è più vicino alla mentalità della gente di oggi. È naturale, quindi, che sia più “spontaneo” per le persone riconoscersi.

Io credo che Giannuli abbia ragione nel merito e nel metodo con cui affronta la questione e comunque ciò non esclude il fatto che vi siano pezzi delle Forze armate che marciano sul nazionalismo per ottenere finanziamenti di vario tipo, e il centenario dello scoppio della Grande Guerra è un’occasione ghiotta per farlo.

Certo che chiamare all’unità nazionale è un’operazione politica, ma il problema principale è che è l’uomo di oggi a non riconoscersi in qualcosa di nettamente politico, come magari sarebbe utile facesse. Allora, rispetto alle affermazioni semi-complottiste di certa sinistra, dell’ANPI o dell’antifascismo non di classe, che vorrebbero scaricare tutta la responsabilità del mezzo fallimento del 70° della Liberazione al neofascismo, alla vista corta delle istituzioni e così via, l’affermazione di Giannuli acquista un peso notevole, dirimente. Il problema dell’indifferenza delle masse per la resistenza, e quindi per la propria storia, non ha radici nella forza diabolica dei fascisti, bensì nel modo di vivere di queste masse, un modo storicamente determinato, in cui la coscienza di classe non ha più posto. Tra la nostra storia e quella di 70 anni fa vi è un’alterità totale, incommensurabile. La vera responsabile di questo sfacelo culturale è la Destra economica, che ha distrutto la testa degli italiani, traghettandoli dal mondo rurale e proto-capitalista del fascismo ai lidi rassicuranti della società dei consumi. Con la complicità di tutte le forze politiche, chi più chi meno, nessuna esclusa.

Di questa alterità fra i due mondi i maggiori responsabili non sono i fascisti, cioè la Destra ideologica che ha tuttavia responsabilità pesanti come macigni nell’aver esercitato in questi decenni la violenza per conto della Destra economica, e tuttavia altro anch’essa a modo suo, ma – per l’appunto – la Destra economica, neoliberista, e tutti i suoi emuli, di quà o di là dell’emiciclo parlamentare. Una Destra economica in grado di disegnare i rapporti sociali in quanto classe egemone oltre che dominante. Classe che ha plasmato i subalterni a proprio piacimento, con scarse resistenze. Subalterni che, giorno per giorno, vivono e si sforzano di essere come la classe dominante ed egemone stessa.

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