Breve saggio sulla cultura e l’arte della Cina.[2]

Hong_Kong_Budha Shakyamuni
Hong_Kong_Budha Shakyamuni

La Cina può vantare di aver avuto uno sviluppo autonomo, prendendo in prestito ben poco dalle altre culture, eccettuata l’India. La cultura indiana entra in Cina proprio con il buddhismo. L’autonomia culturale della Cina è un fenomeno piuttosto raro, riscontrabile in pochi casi: quelli dell’Egitto e dell’America del Sud precolombiana (società morte), e dell’India.

Da un punto di vista storico, culturale ed in particolare antropologico, sono tre i sistemi culturali che hanno fornito la base per lo sviluppo, anche futuro, della cultura cinese e da cui il buddhismo trarrà la linfa da cui alimentarsi ed imporsi: il confucianesimo (Kong Fu Zhi), il taoismo (Lao Tse), il legismo (Wei Yang).

Tuttavia, queste ideologie erano direttamente emanate dall’alto, da quella parte, evoluta e letterata della società, a cui il popolo si sottometteva, non sempre immedesimandovisi. Il buddhismo fu ciò che supplì a questa mancanza di immedesimazione e vera accettazione, ovvero fu un’ideologia ed una religione per tutto il popolo, un sistema di valori spirituali ed etici a cui assoggettarsi facilmente, poiché il popolo vi si identificava, vista la maggior libertà con la quale il culto poteva essere praticato e senza l’esclusione delle classi meno colte della società. Un sistema valido per tutti e non solo per le élites.

Fu l’imperatore Qin Shi Huangdi, autoproclamatosi Primo Imperatore, ad essere il fautore dell’unità amministrativa, dei pesi e delle misure, nonché dello standard della scrittura, della Cina antica. La Grande Muraglia viene costruita durante il suo regno.

Come accennato, la sontuosità delle cerimonie buddhiste dava alle persone, soprattutto alle più semplici, qualcosa in cui immedesimarsi e riporre le proprie speranze. Dopotutto, il Confucianesimo era troppo elitario, equilibrato ed esemplato su uno schema di morigeratezza di non semplice applicazione. Al tempo stesso la tendenza alla ricerca che caratterizzava il Taoismo stava degenerando in una sorta di volgare magia.

Il principale centro d’esportazione iconografica indiano era la vecchia provincia del Gandhara. Essa fu, nei primi secoli della nostra era, culla di un’arte molto complessa che univa lo stile romano provinciale all’iconografia indiana. Più a sud si trovava il focolare tradizionale dell’indianità nella sua forma più pura: Mathura. Dalla congiunzione di queste due scuole nacquero i tipi di Buddha e di Bodhisattva che, dall’India, si diffusero in tutto l’Estremo Oriente. Li si trovava fin nel Giappone.

La cosmologia buddhista divide il tempo e lo spazio in kalpa. Un kalpa è la durata incommensurabile che separa la nascita di un mondo dal suo annientamento.

Secondo il dogma, il nostro attuale kalpa non è che un kalpa fra la moltitudine di quelli che si scaglionano nel passato e nel futuro e dove risiedono a centinaia esseri che hanno fatto il loro ingresso nella luce, avendo raggiunto lo stato di Buddha.

La religione buddhista, prima della sua diffusione in Cina, aveva già percorso, in India, la sua strada più di 800 anni prima. Il buddhismo aveva sviluppato la sua dottrina mahayana o del Grande Veicolo, il cui vasto pantheon e il cerimoniale elaborato s’imponevano ai semplici. Secondo l’insegnamento mahayanista, la salvezza, cioè la via che permette di sfuggire al ciclo eterno e doloroso della morte e delle reincarnazioni, era alla portata di tutti, contrariamente a quanto sostenevano i seguaci del Piccolo Veicolo, hinayana, per il quale la salvezza era riservata ad un numero ridotto di eletti capaci di assoggettarsi alle esigenze dell’ascesi monastica. Il bodhisattva costituisce un elemento essenziale del buddhismo mahayana: diventa bodhisattva colui che, ammesso a raggiungere lo stato di Buddha, è libero di abbandonarsi all’annientamento dopo aver percorso tutta una serie di vite virtuose, e sceglie di ritardare l’istante della consumazione finale al fine di aiutare l’umanità sofferente.

Questa nozione che suscitò tutto un empireo di deità popolari, era praticamente una nuova religione. Per i mahayanisti, Shakyamuni, il fondatore del buddhismo, non era che un Buddha fra gli innumerevoli Buddha dei mondi infiniti del passato e dell’avvenire. Maitreya, il Buddha dell’avvenire, che verrà per guidare l’umanità dolorante verso la felicità del suo paradiso, era più popolare di Shakyamuni nella Cina del V° e VI° secolo. Le religioni e le morali locali dovevano sembrare smorte se comparate alla pompa del Mahayana e delle celesti beatitudini che esso prometteva ai virtuosi.

Il buddhismo perciò acquistò la preponderanza sulle credenze indigene, ma per la sua stessa natura, non poteva entrare in conflitto con esse. L’etica confuciana, relativamente austera, aveva degli adepti presso i mandarini, ma non offriva grandi attrattive alla gente d’umile estrazione. Il Taoismo, pensiero profondamente mistico alle sue origini, era degenerato in magia, mentre esistevano nei testi buddhisti, racconti di miracoli ben più avvincenti di quelli taoisti.

In sostanza, nessuna setta locale parlava tanto all’immaginazione quanto il buddhismo dalle radiose assicurazioni.

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