L’arte per Hegel.

Hegel
Hegel

di Sergio Mauri

Per Hegel la critica kantiana è il punto di partenza per la comprensione del bello artistico. A Schiller, invece, va il merito di aver rotto il cerchio del soggettivismo kantiano e d’aver concepito l’unità e la conciliazione come il vero. E’ con Schelling – attraverso la sua Idea come principio di conoscenza ed esistenza, la sola vera e reale – che la scienza è innalzata al suo stadio assoluto. Hegel è fermamente contrario al disimpegno di certa arte (soprattutto romantica) al vuoto blaterare, alla vuota beatitudine o impotenza. Secondo lui l’ironia romantica (Solger e Schlegel) è l’autocompiacimento e l’autodissoluzione del nulla soggettivo. La critica al soggettivismo romantico percorre tutta l’”Estetica”. La fantasia non deve essere confusa con l’immaginazione meramente passiva: essa è l’attività creatrice e ha il dono di afferrare la realtà. E’ conoscenza precisa della forma interna ed esterna dell’uomo. Conoscenza vuol dire coscienza della razionalità del reale, ma non nella forma di pensieri filosofici. La fantasia permette di elevare a coscienza quella razionalità intrinseca del reale, ma sotto la forma concreta di una realtà individuale. La realtà, per diventare concreta materia dell’arte, deve passare attraverso il filtro della soggettività. Questo filtro ha lo spessore dell’esperienza vissuta dall’artista che solo con l’età può portare a maturazione l’opera d’arte. Il concetto hegeliano di soggettività è totalmente diverso da quello romantico.

Il genio, per Hegel, è quell’attività produttiva della fantasia con la quale l’artista trae a forma reale in se stesso, come sua opera più intima, ciò che è in sé e per sé razionale. Per Hegel l’arte è il prodotto della più alta consapevolezza. L’ispirazione è essere riempiti interamente dalla cosa, essere presenti interamente nella cosa e non avere pace finché non sia coniata e conchiusa la forma artistica. L’artista, quindi, deve saper dimenticare la sua particolarità ed immergersi interamente nella materia: così egli diviene forma che dà forma al contenuto che l’ha preso. L’opera dell’artista è seria perché risponde al bisogno fondamentale dell’uomo di crearsi – nell’oggettività – un mondo nel quale ritrovare se stesso come libera soggettività e coscienza pensante e superare la povertà dell’esistere finito. Per Hegel l’universale bisogno dell’arte è il bisogno razionale che l’uomo elevi alla coscienza spirituale il mondo esterno ed interno come un oggetto in cui riconosce il proprio io. Egli soddisfa il bisogno di libertà spirituale in quanto da un lato fa per sé interiore ciò che è, ma parimenti realizza esteriormente questo essere per sé e così, in questo sdoppiamento di se stesso, porta ad intuizione e conoscenza per sé e per gli altri quel che è in lui. Il carattere dell’opera d’arte è enigmatico: essa si offre come oggetto sensibile all’apprensione sensibile. Deve essere per lo spirito e, necessariamente, sensibile. Il farsi per lo spirito della sensibilità, distingue l’opera d’arte da qualsiasi oggetto naturale. L’apprensione sensibile è l’espressione più limitata e più povera dello spirito; l’apprensione non si esaurisce qui, ma è spinta a realizzarsi nelle cose in forma di sensibilità, rappresentandovisi come desiderio. Il desiderio è relazione negativa perché si appaga nel consumo e nell’uso che è mutamento e distruzione della cosa. L’interesse artistico non deve essere confuso con l’interesse pratico del desiderio, ma neanche con quello teoretico dell’intelligenza scientifica. L’arte si muove in un mondo di “ombre” fatto di forme, suoni e visioni. Queste figure e visioni, questi suoni non sono per sé, ma per lo spirito; finalizzati al soddisfacimento d’ideali più elevati. Il sensibile di cui si parla è un sensibile spiritualizzato, un sensibile-ideale.

E’ un ideale che si estrinseca squadernandosi sul piano della sensibilità ed è un sensibile che si prospetta e dilata ad espressione di un contenuto spirituale. C’è nella parvenza estetica una forma di redenzione della sensibilità operata dallo spirito che la compenetra ed accoglie. Le opere d’arte non sono concetto, ma estraneazioni del concetto nel sensibile, alienazioni dello spirito pensante che facendosi altro da sé, resta fedele a se stesso, ma esprime se stesso e la sua potenza che è quella di essere sé e il suo opposto. L’arte è espressione della potenza dello spirito. L’Arte – per Hegel – è chiamata a rivelare la verità sotto forma di configurazione artistica sensibile, manifestando l’opposizione conciliata. L’Arte (proiezione sensibile dell’idea) non è altro che il riconoscersi (e conoscersi) dello spirito nelle proprie alienazioni. L’Arte non rispecchia il mondo, lo rivela. Tiene unito ciò che per propria essenza è separato. Il superamento storico cui è sottoposta l’arte, diventa la sua morte: il suo storicizzarsi evoca solo ricordo e rimpianto. C’è la bellezza là dove c’è perfetta corrispondenza tra contenuto ideale e forma sensibile: questa avviene solo nell’arte classica. Essa ha raggiunto il fine dell’arte, ma non ne ha esaurito il destino, perché esso non è nell’arte.

Il destino dell’arte è, perciò, la dissoluzione della bellezza in quanto perfetto adeguamento della forma al contenuto. L’arte romantica nasce dalla constatazione dell’impossibilità di questo adeguamento: il suo linguaggio è, pertanto, quello della negatività. Non tutta la verità può essere espressa con l’arte. Vi è una concezione più profonda della verità che non è così affine al sensibile da poter essere accolta ed espressa attraverso questo materiale. Vedi la concezione cristiana e quella moderna della verità. Queste due tipologie concettuali (quella religiosa e quella razionalistica) stanno sopra la fase in cui l’arte costituisce il modo supremo di essere coscienti dell’assoluto. L’età moderna non è più l’età della produzione artistica ma l’età del ripensamento e della riflessione. L’arte muore nell’estenuarsi e nel frantumarsi della tematica romantica. L’arte muore quando vien meno la possibilità di una conoscenza del tutto mediante la sensibilità. Il nostro presente ha ucciso la sensibilità nelle sue proprietà totalizzanti e l’ha ridotta a frammento e a ricordo. Così la conoscenza è possibile solo con il concetto e l’arte passa nella filosofia dell’arte.

L’arte è enfatizzata in quanto unità. In quanto unità non può che essere conciliante. Ciò è positivo quando essa non è necessaria: quindi non nella nostra società. In quanto conciliante non può far altro che conformarsi al fatto compiuto. Ma nella nostra cultura c’è la coscienza della possibilità di modificare la realtà, quindi di non conformarvisi. L’attributo di questa forza di cambiamento è la scissione. Dall’unità, scindere gli elementi per guidarli in una sorta di scissione schizofrenica del tutto, in modo da evidenziare ciò che forma il tutto ed in esso si distingue. L’arte è per sua natura conformista. Ma attraverso quella scissione può diventare per lo meno sconvolgente e scandalosa? La scissione provocherà di per sé una semplificazione del linguaggio anche se il suo significato diverrà criptico. Ma questa scissione non sarà quella della tecnologia del capitale che opera i tagli al canovaccio per renderlo maggiormente commercializzabile. Sarà la semplificazione linguistica del ritorno all’archetipo; la pulizia dalle sovrastrutturazioni accumulate forzosamente nel tempo. Prima di unire definitivamente bisogna risolvere la scissione.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger e studioso di storia, filosofia e argomenti correlati. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Hammerle Editori.
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