Abbiam la giovinezza in cor. Piccola recensione del libro di Sergio Mauri “Partigiani a Trieste. I Gruppi di Azione Patriottica e Sergio Cermeli”, Hammerle Editori, Trieste, 2014

Copertina Partigiani a Trieste
Copertina Partigiani a Trieste

Ho 25 anni.
Non sono uno storico, ma sono un antifascista.
Lo sono da quando ho memoria, da quando, con gli occhi fissi e lo sguardo incredulo, ascoltavo i racconti della guerra dalle labbra dei miei nonni, allora giovani testimoni dei crimini nazi-fascisti.
Lo sono, come tante e tanti, per uno spirito di solidarietà con l’Umanità, sconvolta da quella barbarie criminale.
Eppure, crescendo, prendendo congedo da quelle parole pronunciate da persone che ho tanto ammirato, sentivo un senso di insoddisfazione.
Non mi bastava più sapere chi, in questa nostra storia che è la Resistenza, erano i cattivi e chi i buoni. Mi liberavo dall’ingenuità di un’infanzia passata ad ascoltare i racconti di quella miseria e volevo sapere di più. Perché? Ma soprattutto come? Come fu possibile che l’odio diventasse Legge e la speranza diventasse Crimine? Perché alcuni scelsero di portare in fronte il teschio nero della morte e alcuni invece la stella rossa della libertà?
Per rispondere a tutte queste domande che man mano si facevano più profonde, ho dovuto, come si suol dire, passare per quelle letture che alcuni ritengono “pesanti”.
La storia del Biennio Rosso, l’occupazione delle fabbriche, Gramsci e L’Ordine Nuovo, il tradimento delle socialdemocrazie, lo studio dell’economia capitalista nella sua “fase suprema” imperialista, la teoria marxista sullo Stato.

Ed è forse questo il primo pregio del libro di Sergio Mauri: se l’avessi avuto per le mani qualche anno prima, mi avrebbe certamente risparmiato parecchia fatica.

Partigiani a Trieste è infatti un libro che di storia ne ha tanta, forse troppa, tanto che a doverne trovare un difetto si potrebbe dire che la trattazione storica dei GAP triestini e della vicenda personale di Sergio Cermeli, dirigente della gioventù comunista triestina, risente di un inquadramento generale che più che essere introduzione prende oltre metà del libro.
Eppure, proprio perché non sono uno storico, questo non lo ritengo necessariamente un difetto.

E’ proprio attraverso le pagine agili di questa lunga introduzione che Mauri mette in chiaro, con semplicità, le condizioni storiche ed economiche che permisero l’affermarsi del regime nelle nostre terre.

Il fascismo diventa quindi non più il Male da analizzare con gli strumenti della filosofia morale, ma un fenomeno profondamente storico da scandagliare in tutta la sua materialità di regime oppressivo, anti-operaio e anti-sindacale, al servizio del capitalismo monopolistico bisognoso di tutela statale e di piena libertà di sfruttamento.

Nelle vicende generali del movimento operaio triestino e delle sue avanguardie politiche, Mauri ha il merito di pescare una storia, poco trattata, che è quella dei Gruppi di Azione Patriottica e poi quella biografica del comunista Cermeli.
Stringe progressivamente il campo, dopo averne dipinto con chiarezza le coordinate, nel tentativo di rendere giustizia storica ai protagonisti di quelle battaglie.

Ma ciò che più colpisce del libro è un’altra cosa.

E’ esattamente la capacità, attraverso la storia del sacrificio di donne e uomini, di legare assieme quei fili dispersi di una storia che non fu solo lotta contro l’invasore tedesco o contro il regime fascista, ma fu per tanti e tante la lotta contro lo sfruttamento, per il lavoro, l’autodeterminazione e la fratellanza dei popoli nella prospettiva di una trasformazione in senso socialista della società.

Un fil rouge che affonda le sue radici nella storia del movimento operaio di cui tanti di quei protagonisti erano figli.
C’è da chiedersi: chi ha spezzato quel filo?
La risposta più immediata sta forse nella stanca ritualità con cui, a 69 anni di distanza, ricordiamo ogni anno quegli avvenimenti, privandoli di quell’ardore rivoluzionario, profondamente proletario e assetato di giustizia che animò migliaia di partigiani e lavoratori antifascisti.
E’ un ‘operazione di normalizzazione entro l’alveo della compatibilità con un sistema in cui gli eredi storici di quella Resistenza sono chiamati al compromesso con gli eredi storici dei nostri carnefici per il governo di una crisi che non ci appartiene e che oggi come allora affama, impoverisce e depreda.

La storia del sacrificio di Sergio Cermeli e di tanti suoi compagni, unita alla storia di grande dignità che i lavoratori hanno saputo scrivere con la forza delle proprie braccia e del proprio sacrificio, parla a noi, oggi, e ci dice che la lotta contro la crisi e le sue ingiustizie non solo è giusta, ma è possibile.

Abbiamo la giovinezza in cor/ simbolo di vittoria” cantavano i partigiani delle Brigate Garibaldi.
Ed è proprio ai giovani, miei coetanei, che consiglio la lettura di questo libro.
Per tornare, un giorno, a vincere.

Davide Fiorini

Trieste – 5 maggio 2014

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