The Game, un libro di Alessandro Baricco.

The Game Alessandro Baricco
The Game Alessandro Baricco

Ho deciso di scrivere una recensione su questo libro di Baricco, presentato a suo tempo come una novità densa di contenuti sul mondo del web e dei social, perché alcuni miei amici lo hanno letto e mi hanno bombardato con una selva di affermazioni indimostrate ed indimostrabili, contenute nel testo del Nostro.

Non farò spoiler, ma mi limiterò a parlarne per grandi, ma significative linee. The Game è un testo provocatorio, ma tuttavia incompleto. Fa di alcune affermazioni apodittiche una sorta di atto di fede a cui credere oppure opporvicisi. Come per gli umani è sempre stato: sempre ci siamo divisi su tutto. Tra le opinioni delle moltitudini chi e che cosa decide? La necessità storica del sistema socio-economico e culturale. Si tratta di una necessità determinata e determinante al tempo stesso che ci pone in un continuo dialogo con la realtà che viviamo. Necessità di sopravvivenza, cioè riproduzione di una forma di vita. In effetti, le idee sostenute sul web non sono altro che idee e la loro forza di cambiamento stanno a zero poiché non sono l’origine della Rivoluzione mentale baricchiana, ma semmai il loro effetto. Il sistema con le sue necessità tende al loro uso normativo al fine di eliminare le ultime sopravvivenze di un umanesino altro, cioè non sussumibile all’economia.

E’ poco più di un atto di fede sostenere, come fa Baricco, che il Game sia stato creato, ad opera degli ingegneri californiani, per una scelta deliberata delle masse di superare gli orrori del ‘900. Ci sono molte ricerche scientifiche che vanno in senso diversissimo (The Twittering Machine ad esempio).

Baricco dice che l’insurrezione digitale deriva dai primi video-game. Egli, quando ripete che le piattaforme infantilizzano gli utenti non fa altro che ripetere ciò che i grandi player di Internet affermano. Nessuno sforzo di ricercare il nuovo, quindi. Ma di quale insurrezione digitale parliamo se gli ingegneri erano (e sono) legati al potere costituito? Forse dell’insurrezione dei dominanti che, cambiano tutto per non cambiare nulla? Si tratta di un’ottima tecnica, ma è il caso di intendersi sempre sulle parole. Egli, poi, si focalizza sui detentori della visione che sono tutti maschi bianchi americani, ma se spostiamo l’attenzione in direzione della realtà, troviamo Susan Kare e/o Sundar Pichai. E allora, che ne dice o ne sa il Nostro? Perché raccontare questa storiella se può stare in piedi solo perché lo dice lui?

Ed è un atto di fede sostenere che la rivoluzione mentale, come fa Baricco, sia l’origine del cambiamento. Anche se un’origine al cambiamento lo dovremo trovare per forza. Ecco: gli studi scientifici, quelli seri, ci dicono che il cambiamento ha avuto la sua origine nell’esigenza del capitalismo di diventare più efficiente. Ovvero: fare profitti in modo più veloce ed efficiente.

Ma continuiamo. Il rischio è o sarebbe quello di diventare avatar di noi stessi? Immagini inefficaci a modificare i rapporti umani e sociali? Si, se tutto ciò rimane a livello di forze entropiche. Tuttavia, i social network se si ha la forza (il capitale) di gestirli sono – si – determinanti per e nel senso comune.

Ancora. Il video-game non ha possibilità infinite come sembra affermare Baricco. Poi bisognerebbe intendersi e quindi distinguere tra video-games e social networks, tra i vari aspetti dell’uso della tecnologia. Però, per capirci meglio, dovremmo considerare che l’interazione con Internet è su percorsi predefiniti, poiché le macchine possono rispondere solo in maniera prevedibile.

Baricco: la rivoluzione ha bisogno di un ordine e il Game non lo fornisce, ora. E torna a raccontarci che chi ha inventato il game è bianco, americano, ingegnere. C’è poca umanità (è io aggiungerei molta competizione). Individualismo ed egoismo di massa. Che novità! Aspettavamo Baricco per scoprire la cifra del nostro tempo? Forse i lettori di Baricco indulgono a queste reprimende morali soft, in linea con il loro essere più o meno parte di quella piccola borghesia senza coraggio, del “voglio, ma non posso”, tipicamente italiana. Quella piccola borghesia del neoliberismo equo-solidale e compatibile col sistema.

Il Game, dice Baricco, deve essere raddrizzato, attraverso la memoria non americana, la cultura femminile, il sapere umanistico, i talenti cresciuti nella sconfitta, le intelligenze che vengono dai margini. Qui mi sembra di rinvenire una chiamata a rinnovare, a dare nuova linfa al sistema che ha creato il Game o meglio un richiamo al sistema in modo che sussuma ciò che ha tralasciato. Quindi, diamo ancora più forza al sistema che ha creato il Game. Perché da questo loop, da questo ciclo infinito non si riesce proprio ad uscire.

Io, tuttavia, distinguerei tra il Game usato per lavoro e il Game usato per svago. Entrambi possono risultare utili, per ragioni diverse e spesso opposte. Ma questa distinzione manca totalmente in Baricco. Il Game non è omogeneo, ma è fatto di molti Game anche se hanno nella ICT la loro radice comune. Ma non è l’unico tema ad essere latitante.

Nel libro di Baricco manca la questione della cyber security, del controllo eccetera. Sono questioni totalmente ed assurdamente assenti. Perché? Dopotutto fare soldi sui consumatori e/o controllarli (cose solo apparentemente dissimili, ma in realtà strettamente imparentate) è l’obiettivo della nuova economia che deve essere più produttiva ma anche predittiva di quella precedente. E qui entra in gioco la tecnologia.

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