Sull’Occupy Movement.

Occupy Movement
Occupy Movement

Questa potrebbe essere la versione italiana dell’articolo precedente in inglese. Non lo sarà, perché i due sono stati scritti in momenti diversi e sotto auspici diversi. Molte considerazioni, tuttavia, traggono spunto dalla versione inglese. Questo post, in sostanza, dovrebbe spiegare perché non mi sento parte del movimento 99% per così com’è.

Lo Occupy Movement è anche conosciuto come il Noi siamo il 99% (We are the 99% Movement, in tedesco Wir sind die 99%). Questo a dire che il 99% di noi sono povere ed oppresse vittime. Il rimanente 1% sono il peggio del peggio: ladri, sfruttatori, manipolatori dei nostri soldi…. Il tutto suona un pò falso oltre che senza una chiara focalizzazione su un dettaglio perdendo però di vista il disegno complessivo. Intanto, affermare che ci hanno fregato i soldi investiti da qualche parte, significa che anche noi partecipavamo al sistema basato sulla manipolazione e lo sfruttamento. Se non intendevamo dire questo, allora volevamo dire che a causa di quel modo di fare finanza e di coloro (solo l’1%?) che li seguiva noi, virtuosi risparmiatori che vivevamo di solo stipendio subiamo questi problemi. Non credo ci potessimo comunque definire come dei dissidenti politici. Abbiamo subito in silenzio e siamo rimasti gabbati. Ogni tanto succede: mai sentito parlare di parco buoi? Perché investire in Borsa o in fondi pensione quando ci sono migliaia di ottimi motivi e di autorevoli opinioni per non farlo? Per essere più furbi degli altri, naturalmente. Poi, il nostro problema in Occidente non è semplicemente attinente al mondo finanziario: è tutta la nostra cultura ad essere messa in crisi e a doversi emendare. Cosa che non viene fatta. Se chi ci governa e noi governati, pensiamo di sfruttare il pianeta e le persone che ci vivono (quelle che costano meno sul mercato del lavoro) infinitamente e solo per il nostro tornaconto, allora il nostro futuro non potrà che essere sempre peggiore.

Sul piano culturale la maggioranza di noi non ha mai accettato il confronto con l’altro da sé e, possiamo affermare con sicurezza che certi nodi irrisolti della nostra cultura sono riemersi più potenti che mai proprio da quando, a causa della globalizzazione, siamo entrati in contatto con culture non omologhe alla nostra: in parte occidentalizzate, in parte appartenenti a quel mondo non riassumibile a quello della razionalità occidentale impostata sulle scienze applicate. Ma se vogliamo veramente cambiare rotta, allora dovremmo sapere verso dove andare: verso una finanza ed una economia responsabili? E’ come chiedere ad un cane di non abbaiare.

Lo slogan Noi siamo il 99% permette a chiunque di identificarvisi, anche a chi fino a ieri voleva partecipare al banchetto di Wall Street, basandosi sulla presunta, troppo semplicistica ed esaustiva contrapposizione della gente alle élites, siano esse il governo piuttosto che un gruppo di cattivi finanzieri. Si tratta di un classico e datato cliché populista. La gente intesa come gruppo indistinto di persone, senza alcun riferimento alla loro posizione sociale, al proprio lavoro, ai rapporti di proprietà in cui sono inseriti. Questa mancata focalizzazione, questa volta sì, questa indefinitezza, finisce per nascondere le ragioni reali del fallimento economico in atto che nasce invece dai meccanismi economici in cui siamo inseriti. Riassumendo: nel mondo attuale non esiste una riproduzione infinita della ricchezza, né tantomeno ne esiste una ripartizione equa. Per entrambe le questioni (riproduzione ed equità) dovremmo cambiare politicamente rotta, ma dagli anni ’80 del secolo scorso ci hanno detto che tutti potevamo diventare miliardari, mentre la forbice tra ricchi e poveri si stava allargando; che lo Stato puzzava di socialismo mentre la grande industria chiedeva ad esso aiuti finanziari a largo raggio e da esso veniva, specialmente in Italia, salvata. In quel mare di propaganda interessata, pochissime voci hanno espresso delle opinioni dissidenti, nulla a che vedere col 99% della società che, invece, seguiva la rotta. Ma la questione economica rappresentava allora e rappresenta oggi solo l’epicentro del problema che è, appunto, culturale.

Rispetto ai problemi causati dalla follia speculatoria, oggi, quanti sperano semplicemente di riguadagnare le posizioni ottenute attraverso le speculazioni o il sistema basato sui soldi che fanno soldi invece che di superarlo per un qualcosa di più accettabile e legato alla produzione concreta di beni magari necessari, soprattutto in termini di ripartizione di questi beni indispensabili alla vita delle persone? Sarebbe troppo bello se il 99% non fosse coinvolta in questo tipo di sistema di follia. Se domani ripartisse tutto con uno sviluppo accelerato (ancora industria, inquinamento, automobili, rifiuti di tutti i tipi) tutto si acquieterebbe. E’, inoltre, probabile che, nella testa degli ideatori, lo slogan abbia un semplice senso di monito e di speranza di risveglio di una maggioranza (non il 99% in ogni caso) gabbata da sempre. Ma allora, per non farla restare una semplice boutade, quel movimento dovrebbe dotarsi di strumenti in grado di spiegare veramente e concretamente i rapporti vigenti nella nostra società contemporanea. Dovrebbe riempire lo slogan di contenuti.

Qui da noi in Occidente, ex-centro del mondo, si è sempre ragionato così: c’è una teoria, rispondente solo a certi interessi (ovvio) e tutto va adeguato ad essa. Questo è il perno della nostra costruzione culturale fallimentare. Dovremmo, invece, costruire una teoria in base ai problemi generali (ormai planetari) concreti ed adeguarla alla possibilità che essa ha di risolverli, invece che di crearli. Mi duole dirlo e spererei non fosse così anche in futuro, ma è’ per questo che il sistema bancario islamico e quello cinese non hanno sofferto i nostri stessi problemi.

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