Sull’Atlante Storico dell’Adriatico Orientale.

Mare_Adriatico
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La storia deve essere narrata come serie di eventi concatenati che compongono un quadro unico. E’ fenomeno generale in cui ognuno di noi si può riconoscere, è lo sfondo sul quale ci muoviamo durante la nostra vita. All’interno di questo corpus generale ci sono dei rivoli individuali, personali e singolari. Ognuno di noi vive gli eventi storici su di un piano che è anche individuale, oltre che collettivo. Compito dello storico è quello di ricomporre il prisma per confermare, anche emendandola, la narrazione generale, cioè lo sfondo in cui ci muoviamo tutti. Il suo compito non è quello di spezzare la narrazione generale e disperdere le facce del prisma, perché il rischio sarebbe quello di negare non solo la storia, ma di far saltare la scala di valori che la sottende, visto che poi è sempre l’uomo a dare il segno ed il senso ultimi ad ogni sua attività in terra.

L’Atlante Storico dell’Adriatico Orientale di Boris Gombač, edito da Bandecchi & Vivaldi, casa editrice a pagamento, è un’opera interessante, purtuttavia incrinata da due punti critici di fondamentale importanza: la mancanza di una bibliografia e l’affermazione dell’autore che dichiara essere il suo lavoro, un prodotto. Può essere un prodotto nel senso del manufatto, forse, ma come tutte le creazioni intellettuali, non può essere consumabile, quindi, i suoi contenuti (non la forma) non deperiranno mai, saranno validi anche quando noi non ci saremo più o fra mille anni.

Detto questo, il libro, corredato da bellissime foto, riproduzioni di mappe, o di opere d’arte di quest’area geografica, è abbastanza scorrevole e a tratti stimolante, scritto nel tipico linguaggio umbratile degli sloveni, percorso da una sottile, ma continua linea pessimistica e contrappuntato da una sicura verve corrosiva. Non mi addentrerò in critiche fatte da altri, che in linea di massima condivido, tuttavia una piccola parentesi vorrei aprirla quando il nostro affronta la questione della Jugoslavia titoista. Per Gombač si tratta di riempire pagine e pagine di asperrime critiche al satrapo Tito, nemmeno fosse stato l’alfa e l’omega di tutti i problemi di quel paese, di forma politica socialista e confederata. Insomma, qualche riga più seria, da un testo che pretende di essere importante, ce lo aspettavamo. Al contrario, la storia della Jugoslavia socialista è totalmente identificata con quella del padre padrone Tito, che sembrava facesse una vita da nababbo mentre la popolazione moriva di stenti agli angoli delle strade. Insomma, la solita storia di Sodoma e Gomorra in salsa balcanica. La solita storia, anche, narrata contro il socialismo, in tutte le sue possibili declinazioni.

Riguardo all’oggi, non c’è alcun intervento del nostro che critichi la situazione della Slovenia o degli altri paesi dell’ex-Jugoslavia, situazione abbastanza grave e niente che dia una lettura magari critica anche alle delusioni dei cittadini di quelle repubbliche che, dopo la fine del regime del satrapo, non hanno visto alcun miglioramento significativo delle proprie condizioni di vita quotidiana, ed anzi hanno potuto godere di un qualche benessere “capitalizzato” con la globalizzazione proprio grazie ai sacrifici delle generazioni precedenti, quelle satrapiche. Tant’è: complimenti all’autore e guardatevi questo documentario inglese (non dei comunisti) sugli anni della Jugoslavia federale e socialista che non sarà la verità in terra, ma di sicuro è più obiettivo di chi sputa nel piatto dove ha abbondantemente mangiato.

 

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