Snoop Doggy Dogg: integrarsi per perdersi.

Snoop Dogg
Snoop Dogg

Snoop Dogg è riuscito nell’intento di diventare il perfetto prototipo  del “bianco-negro”, cioè l’esatto opposto della “white trash”, detta anche spazzatura di (negri)-bianchi. In effetti il proletariato bianco americano, senza speranza se non quella di essere strizzato fino al midollo attraverso il sistema coercitivo del debito, in altro modo non potrebbe essere definito sociologicamente se non con il topos ossimorico dalle forti tinte che coglie l’intersezione fra etnia e classe sociale: negri-bianchi, appunto.

Con la tipica delicatezza definitoria che contraddistingue la cultura americana basata su uno straordinario mix curricolare di coercizione e violenza possiamo, al tempo stesso, trovare spunto per delineare concettualmente il suo opposto: il bianco-negro. Una categoria cui il nostro appartiene a pieno diritto. Un ossimoro che, al di là della complessità che cela in se stesso, fatta di una inestricabile matassa di lotte interiori tra necessità di auto-conservazione e dignità e libertà personali, traccia un accurato disegno di cosa sia la società consumistica contemporanea poggiante su 4 pilastri fondamentali: dominio assoluto della dimensione economica; globalizzazione della forma-occidente; omologazione-distruzione delle culture; intercambiabilità dei soggetti sociali. In tutto ciò il rap ed in particolare il suo rap, è un raffinato bluff.

Snoop Dogg è completamente dentro questo incubo. Nel ruolo di collaborazionista. E’ sufficiente guardare con spirito libero ciò che propone nei suoi video musicali. Per prima cosa, viene proposta della black-music commerciale, in linea con ciò che hanno sempre fatto i bianchi: fare i soldi con la musica dei neri. A corollario, per rafforzare la proposta, veicola l’immagine del nero-boss-mafioso, anche questo in linea con la costruzione di immaginario della classe dominante americana secondo la quale nulla di buono potrà mai esserci quando proviene dalla colonia interna dei “coloured”. E, tutto questo, con la giustificazione dei liberal, rivoluzionari da salotto d’oltreoceano che, allo stesso modo dei nostri sinistri ferroviari, non riescono a leggere l’alienazione che si nasconde nei rapporti sociali dell’economia oligopolistica. Meglio, non vogliono leggerla perché vi leggerebbero la propria faccia da cadaveri.

Eppure il nostro è peggiorato nell’escursione tra Sensual Seduction e Wet, tra i fasti di Doggy Style e le comparsate con Dr. DRE. Ai tempi del primo, Snoop portava con sé un’energia residua, un modo di muoversi legato ad una storia al tramonto sì, ma viva almeno nelle reminiscenze, nei giochi visuali psichedelici, nella riproposizione-adattatura di un immaginario comune a tanti “blacks” dell’epoca. Oggi, non più. E’ sconcertante il livello di normalizzazione-sterilizzazione industriale subita dal prodotto Snoop Doggy Dogg. Peraltro è singolare, oltre che interamente voluta dalle case di produzione discografica, la sua collaborazione con William Pharrell, non certamente un faro di libertà e lungimiranza artistiche, ma perlomeno, in possesso di una dose omeopatica di stile e consapevolezza musicali.

C’è uno studio, pubblicato tempo fa in forma di ponderoso saggio, degli studiosi americani Sweezy e Baran, attraverso il quale possiamo verificare quanto finora detto sulle categorie sociologiche in America. Nelle pagine in cui si affronta il caso delle comunità afro-americane e dei contesti socio-culturali in cui si muovono si descrive, chiaramente, la determinazione economica per la quale si lasciano fuori i neri americani dalle leve del potere industrial-finanziario relegandoli in quel ghetto che è il “mondo dello spettacolo”. Musica, cinema e un pò di letteratura. Dove, cioè, non c’è potere reale, ma periferia del meccanismo. Allora, attraverso questa griglia interpretativa, tutto appare più chiaro e leggibile.

Qualcuno, forse, troverà il coraggio di spezzare una lancia per Snoop perché qualche accenno  a non odiarsi tra gangs, l’ha pur fatto. Purtroppo tutto ciò non cambia il segno conformista del suo messaggio, anche perché il massimo della degradazione culturale ed il suo più grave errore,  Snoop li raggiunge quando rappresenta le donne. E’ l’apice del razzismo: la donna-satellite, o meglio, un nugolo di donne-satelliti, sedute su decapottabili o macchine modificate da tuning poderosi (l’abbinamento sesso-automobile è un must sempreverde), ignude, impegnate in atti di lascivia omo od etero (in questo è permissivo e democratico più o meno come Trump), con se stesso al centro (il prototipo di uomo “nero”…) agghindato da pappone o mantenuto di lusso. Altro che donna-oggetto; qui siamo all’esposizione razzistica e manipolatrice dei corpi. All’eclissi definitiva dei sia pur residui valori della razionalità occidentale in nome di un talebanismo sub-cosciente che emerge, come un fiume carsico, ogni qual volta esso si abbina alla forza propulsiva dei denari da valorizzare.

Al di là dei distinguo e delle attenuazioni di responsabilità che potremmo trovare per l’industria musicale americana e per chi ci lavora, rimane da osservare quanto poco ci si renda conto dei meccanismi perversi che entrano nelle nostre vite attraverso una TV ed un PC e quanto poco ce ne importi in Italia, paese notoriamente succube dal punto di vista culturale. Quale sia il livello di importanza e coscienza lo si vede dall’accoglienza e dagli spazi che si riservano a questi ospiti d’onore quando giungono sul nostro suolo: l’idolatria senza limitazioni e riserve.

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