Punto della situazione 5: finanziarizzazione dell’economia.

Laughing_Marx
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L’indice di crescita di un’economia non è il movimento fittizio di capitali, è l’incremento della produzione e dei servizi vendibili un anno sull’altro. L’attuale processo di privatizzazione, nato negli anni ’80 ed ancora in corso, indotto dalla ricerca incessante di plusvalore determinata dalla caduta del saggio di profitto, è funzionale a raccogliere capillarmente molti piccoli capitali privati per concentrarli alla fine nelle mani di pochi capitalisti o fondi d’investimento. Questa ulteriore fonte della finanziarizzazione dell’economia è indispensabile perché il singolo possessore di capitale non potrà mai avere i mezzi per conoscere l’andamento dei mercati globali e indirizzarvi somme sufficienti a valorizzarsi. Il piccolo capitalista sarà remunerato con criteri interni, mentre il grande capitalista e il fondo d’investimento potranno cercare remunerazione globale.

La finanziarizzazione è quindi funzionale al consolidamento di una massa impotente di piccoli investitori  presso cui effettuare la raccolta e di una oligarchia finanziaria in grado di indirizzare i capitali raccolti là dove la redditività sia prevista più alta che altrove. E’ questa oligarchia che gravita intorno al debito estero mondiale e che interviene ogni qual volta la Banca Mondiale debba organizzare una catena di raccolta per un prestito.

La questione della finanziarizzazione è legata strettamente a quella del debito e della produzione di beni reali. In Italia molti stabilimenti Fiat, Olivetti, Pirelli, sono chiusi o sottoutilizzati, per quanto quasi nuovi ma fanno media perché adibiti a lavorazioni fantasma; un pò per accordi sindacali, un pò per evitare il degrado degli immobili. Ne consegue che le industrie manifatturiere dell’area OCSE lavorano attualmente al 65-75% della loro capacità. Il debito industriale complessivo – quindi non parliamo di debito pubblico! – aveva superato 10 anni fa il 130% del PIL mondiale e progrediva ad un tasso del 6-8% annuo, vale a dire il quadruplo della crescita del PIL mondiale.

Nella ripartizione mondiale dei debiti è l’Occidente ad essere ora in seria difficoltà, detenendone la maggior parte. I paesi asiatici, Cina in testa, sono mediamente portatori di crediti. Il concetto che l’imprenditore-capitalista ha del “reddito d’impresa” (o “utile”, risultato netto annuale) è diverso da quello di “plusvalore”, dato che anche le imposte tolte per avere il netto sono plusvalore; allora c’è da chiedersi come mai, se il valore totale (profitto più salario, ma i salari sono addirittura diminuiti) prodotto in un anno nel mondo sale del 2%, quello delle imprese che fanno l’economia mondiale sale dell’11%. La risposta si può trovare solo nel fenomeno individuato da Marx: le maggiori 500 imprese del mondo non intascano soltanto plusvalore prodotto in proprio come succedeva ai tempi della concentrazione ma riescono, centralizzando il controllo su produzione e mercati, a ripartire a loro favore una parte di tutto il plusvalore prodotto nella società. I piccoli e medi capitalisti di tutto il mondo pagano un tributo ai mostri industriali supercentralizzati.

 

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