Porto Vecchio di Trieste, un’area da salvare dall’abbandono.

Trieste-A Guide
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È ufficiale. Le maggiori istituzioni locali stanno archiviando il progetto del Rigassificatore con cui la cittadinanza è stata solleticata negli anni recenti. Dopo aver verificato l’indisponibilità delle istituzioni comunali di Trieste, Muggia, San Dorligo-Dolina, della provincia di Trieste e della gran parte della cittadinanza al progetto, ora anche gli altri attori istituzionali, l’Autorità Portuale, si dichiarano contrari alla realizzazione dello stesso. Possono, finalmente, mettere una pietra sopra al tutto, senza prendersi la responsabilità di aver lanciato la prima pietra. Io sono ben felice di constatare l’impraticabilità di questo progetto, contro il quale mi sono sempre espresso.

Tuttavia, il punto è un altro. Viviamo un periodo storico singolare nel quale domina la forma politica del “populismo mediatico”, forma che attraversa tutti gli schieramenti parlamentari, con esiti tendenzialmente omogenei. Questi esiti dimostrano che esiste un “reality political format” ripetibile ad libitum. Si inizia a parlare di un progetto facendolo sembrare fattibile o solo verosimilmente attuabile, per poi lasciarlo decantare ed infine affossare con l’aiuto del tempo, grande galantuomo. Lo stesso sta continuando ad accadere (poiché sono anni che la questione è tenuta in vita artificialmente) per la questione del Porto Vecchio che non si sblocca a causa (dicono) del suo statuto di Zona Franca. C’è attualmente in piedi un progetto per la riqualificazione immobiliare, turistica, residenziale e direzionale dell’area che viene sistematicamente rimandato a causa di veti incrociati di cui non sono autrici solo le forze politiche vere e proprie, ma associazioni e realtà istituzionali che fanno leva sullo statuto giuridico di Zona Franca e sulle paventate speculazioni finanziarie ed immobiliari che avrebbero luogo, se il progetto passasse, in quell’area. È vero che chi finanzia il progetto è un grande operatore del settore del credito finanziario, ragione per cui non è ben visto da molte persone. Il problema è quello di vincolare l’edificazione a parametri ecologici ed eco-sostenibili, case a impatto zero, capaci di auto-prodursi acqua calda ed energia (coi pannelli fotovoltaici) e acqua corrente col recupero dell’acqua piovana, così come si devono immaginare spazi per bagnanti, isole pedonali e ciclabili, una grande area di edilizia, anche convenzionata e popolare, capace di futuro, altro rispetto alle solite speculazioni immobiliari “mordi e fuggi” che edificano case con criteri da metà del Novecento. Il progetto di riqualificazione diventerebbe una grande occasione per un’area ora in abbandono, partendo anche dalla constatazione che esistono 5 Punti Franchi nel Porto di Trieste: Punto Franco Vecchio, Punto Franco Nuovo, Punto Franco Scalo Legnami, Punto Franco Oli Minerali e  Punto Franco Industriale ed in nessuno di questi ci sono file di imprenditori che chiedono il permesso di entrarvi per investire e lavorarci.

I contrari all’operazione di riqualificazione assicurano dell’impossibilità di cambiare destinazione a quella zona del Porto Vecchio per una serie di questioni burocratiche e perché sarebbe un duro colpo all’economia della città, fondata sui traffici portuali intermodali. Tuttavia, nonostante le rassicurazioni di costoro, anche togliendo dalla nostra discussione il porto Vecchio, non c’è una reale domanda per l’utilizzazione della Zona Franca nemmeno nelle altre 4 aree così destinate. Vi sono infatti parti di queste 5 aree senza attività alcuna.

Queste manovre, al pari di quelle sul Rigassificatore, appaiono sempre più chiaramente essere delle manovre diversive. Non sono i due unici casi: lo fu anche quella che per molto tempo a partire dagli anni ’80 del secolo scorso tenne banco nelle cronache cittadine: il porto turistico. Progetto mai partito, tantomeno realizzato, ma di cui non si fece altro che parlare. Diversivi atti a far dimenticare alla cittadinanza il problema fondamentale della città di Trieste: il suo inarrestabile (almeno finora) declino economico e politico a cui il blocco storico dominante non sa e non vuole dare risposte, preferendo gestire la quotidianità senza alcuna prospettiva.

 

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