Per una democrazia responsabile (6). Nomina, destituzione, assassinio.

A tutti buona estate
A tutti buona estate

I Potenti hanno la facoltà di nominare e destituire i propri uomini dalle posizioni di comando. Ciò costituisce, per le masse, una manifestazione di potere. In effetti, far parte della cerchia del Potente è foriero di onori e ricchezze. E in questa cerchia, cospicue energie vengono spese per assicurare prebende e carriere. Ma è sbagliato pensare che il capo sia padrone assoluto nel nominare o destituire i propri uomini. Spesso, al contrario, nomine e destituzioni rappresentano degli accettabili compromessi nei quali il Potente ha dovuto cedere o, almeno, fare delle rinunce. Di solito il potere di nomina e destituzione sono vincolati da restrizioni convenzionali che vengono imposti dalla legge e non sempre di possono trasgredire. Ma anche supponendo la caduta di ogni vincolo e lo stravolgimento di tutta la realtà politica, sociale e giuridica, i Potenti seguitano ad essere condizionati da molteplici fattori esterni. Ancora una volta, l’esperienza dei Bolscevichi in Russia ci aiuta a fare un esempio calzante. Lenin sperò, a rivoluzione compiuta, di poter mettere ai posti di comando dei Bolscevichi, ma il più delle volte, fu costretto a ripiegare su dei borghesi, richiamandoli per la bisogna. Forse ciò successe anche in virtù del fatto che i Bolscevichi erano uomini più adatti a distruggere che a costruire. Fatto stà che egli non trovò quasi alcun quadro in grado di dirigere essendo la realtà Russa di fatto assai arretrata. In ogni contesto storico anche se, apparentemente, il Potente ha enormi possibilità di poter scegliere i suoi collaboratori, egli é fortemente condizionato dalla natura degli uomini. E’ assai difficile che i collaboratori del Potente siano, nel medesimo momento, leali e capaci. Bisogna sempre mettere in conto che essi possano disobbedire. Chiunque, anche involontariamente, può deformare gli ordini ricevuti o ritardare la loro applicazione. Inoltre, costoro, conoscendo i segreti del Potente, acquisiscono su di lui un certo potere che finisce per imprigionare, in una certa misura, lo stesso Potente, imbrigliandone l’azione. C’è poi il rischio che i collaboratori più abili del Potente si persuadano di poterlo sostituire ed egli, come contromisura, decida di licenziare proprio quelli. Insomma, il rapporto tra il Potente e i suoi collaboratori è, a dir poco, ambiguo. Anche Mussolini mise all’angolo i suoi più brillanti collaboratori temendo di poter essere messo in ombra proprio da essi. Ma ciò non accade solo nelle dittature ma anche nei regimi democratici dove i Potenti sono comunque costretti a guardarsi le spalle da maneggi, complotti e falsità. Di nuovo, un esempio adeguato ci viene dall’esperienza sovietica, dove uno Stalin inferiore per personalità e preparazione, fu in grado di eliminare una molteplicità di dirigenti che avrebbero potuto oscurarlo: Trotzky, Kamenev, Zinoviev, Bucharin, Pjatakov, Kirov, tanto per citarne alcuni dei più conosciuti.

I lutti e le sciagure che, da tempi remoti, hanno luogo nel Palazzo, ci spingono a riflettere sui meschini rapporti che si stabiliscono tra il Potere e la morte. I Potenti sono, frequentemente, in grado di incarcerare, confinare e punire. Il privilegio di vita e di morte rappresenta, in definitiva, la prova tangibile e più agghiacciante del potere di nomina e destituzione. Nonostante ciò, tuttavia, e anche se questo genera paura e sconcerto negli uomini comuni, quelle prerogative non si esercitano se non attraverso contraddizioni e limiti. L’esempio a cui riferirsi ora è quello dello sterminio degli Ebrei ad opera dei Nazisti. Parliamo di 6 milioni di individui, per cui esso è l’esempio giusto per comprendere l’estensione che può raggiungere il potere di vita e di morte nella società moderna. Lo sterminio fu contraddistinto da profonde incoerenze. Esso non ebbe uno scopo. Innanzitutto non servì a garantire la sicurezza del Reich, il controllo dei territori sotto occupazione o a rinsaldare il potere Nazista all’interno. Inoltre, lo sterminio non costituì una intimidazione pubblica, visto che ritennero dovesse rimanere segreto ma fu, soltanto, un prodotto del fanatismo ideologico. Paradossalmente, il modo in cui fu attuato, permise proprio agli Ebrei che i Nazisti consideravano più pericolosi, cioè quelli ricchi, di salvarsi, generalmente corrompendo le “incorruttibili” SS. Altri Ebrei si salvarono grazie all’indecisione, alla mancanza di discrezione o ai conflitti di competenza dei propri carnefici e dello zelo verso i sacri regolamenti, tanto caro ai tedeschi, degli “impiegati del genocidio”. Se pensate ancora che Hitler sovrintendesse continuamente alla questione dello sterminio, vi sbagliate di grosso. Egli, totalmente assorbito dalle questioni belliche, perse completamente interesse nei confronti dell’infernale macchina che aveva messo in moto. Facendo un parallelo coi generali di Tolstoj in “Guerra e pace”, egli divenne scarsamente edotto di ciò che stava accadendo. Ma fu un progetto, quello del genocidio ebraico programmato con cura e già risalente al 1933? No. Le ricerche storiche finora eseguite ci inducono a pensare, sulla scorta dell’assenza di documentazione comprovante la volontà di genocidio nei confronti degli Ebrei che risalga al periodo iniziale del dominio Nazista, che la cosa sia di certo il prodotto del fanatismo ideologico ma che sia sicuramente sfuggita di mano. Anche i Nazisti, per quanti succubi di un’ideologia delittuosa, non furono altro che uomini e, pertanto fallibili.

Lo storico britannico Robert Conquest stima in 20 milioni le vittime del terrore Staliniano. In quel contesto operarono non solo delle forze distruttive verso l’esterno, cioé verso il mondo fuori del potere ma anche, in senso autodistruttivo, verso l’interno del potere stesso. La prima vittima del potere Staliniano fu proprio il Partito Comunista: nella grande Purga scomparirono 1 milione di iscritti. E’ nota la questione che fu la polizia Sovietica ad eliminare più Comunisti che in tutto il periodo della lotta clandestina, delle 3 rivoluzioni e della guerra civile. E sicuramente di tutti i regimi Nazifascisti messi assieme. La macchina repressiva sfuggi di mano a tutti, Stalin compreso. Carnefici che in un batter d’occhio devenivano delle vittime. I Potenti, tanto più erano tali, tanto più potevano finire stritolati nella sanguinaria macchina repressiva, dimostrando, così, la loro impotenza. Lo stesso entourage di Stalin fu pieno di morti e perseguitati: la moglie Nadezda Alliluieva si uccise lasciando una lettera colma di accuse politiche; il figlio Iascia tentò, senza riuscirvi, il suicidio in una cucina del Cremlino. Stanislav Redens, un cognato di Stalin fu arrestato e fucilato. L’altra moglie, Anna Alliluieva, arrestata, impazzì. Altri parenti di Stalin divennero vittime del terrore, come narrato da Svetlana Alliluieva nelle sue memorie.

Tutto ciò è potuto succedere perché non un uomo ma milioni di uomini parteciparono a quegli eventi storici. Lo storico Medvedev racconta di milioni di uomini, persone comuni, che presero parte a riunioni e manifestazioni per chiedere severe misure nei confronti dei nemici del popolo. Milioni di persone si sospettarono e denunciarono a vicenda. Lo stesso storico racconta di come furono gli stessi arrestati a teorizzare le denunce più assurde e vaste nel numero dei sospettati, proprio per far saltare, prima o poi, il sistema repressivo stesso.

I Potenti non sono soltanto dei dispensatori di morte ma, spesso, sono oggetto di minacce di morte violenta. Tutti i Potenti, quelli amati al pari di quelli odiati, rischiano continuamente di essere assassinati da esaltati o da avversari politici. Non è, peraltro, necessario che l’assassinio sia pianificato da chissà quale vasta organizzazione: anche un uomo isolato e povero può diventare un assassino, come nel caso dell’anarchico Gaetano Bresci che condannò a morte il re Umberto I° di Savoia. Anche Lincoln fu ammazzato da un fanatico secessionista. I Potenti ed in particolare i capi di Stato, costituiscono una categoria ad alto rischio di incidente mortale sul lavoro: negli USA un presidente su 5 è stato assassinato. Se poi, dai capi di Stato volessimo passare a quelli di governo, ai ministri, ai sottosegretari, la lista diverrebbe altresì lunghissima e conterrebbe da Stolypin a Rathenau a Dolffuss a Kirov a Gandhi, Kennedy…

Ma se grande é il numero dei Potenti assassinati, ancora più grande è quello dei Potenti che si sono salvati o sono sopravvissuti a degli attentati. Insomma, la vita di coloro che vengono considerati come Potenti è piuttosto insicura, all’opposto delle persone che potenti non sono e vivono delle vite considerate del tutto banali.

** Se puoi sostenere il mio lavoro, comprami un libro **

Be the first to comment on "Per una democrazia responsabile (6). Nomina, destituzione, assassinio."

Leave a comment