La questione palestinese deve essere risolta anche se non conviene ad Israele.

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Il colpo ricevuto da Fatah, con la creazione di Hamas, fu epocale. Di fatto, una svolta laica e progressista fu emarginata a tutto vantaggio di una “nazionalista con venature islamiste”, anche se in verità Hamas non è del tutto assimilabile a questa opzione. Poi, certamente, i problemi interni di corruzione e carrierismo politici hanno fatto il resto in Fatah, compromettendone il futuro politico. I finanziamenti israeliani ( e non solo) a Fatah e Hamas non sono un mistero per nessuno. Lo stesso Jaabari annientato dagli israeliani con un omicidio mirato, lavorava in stretto contatto con le istituzioni israeliane e cercava, sicuramente, un modo per assicurare una tregua a Gaza. Il quotidiano Haaretz il 14 novembre scorso definisce Jaabari come un sub-contractor di Israele, il cui compito era proprio quello di mantenere l’ordine a Gaza per conto di Israele.

Non è per nulla strano che, palestinesi con in animo di liberare il proprio popolo, decidano di servire anche i propri oppressori, magari tentando un equilibrismo di raffinatezza estrema per navigare incolumi tra doppi e tripli giochi tendenzialmente pericolosi. Il Medio Oriente è pieno di storie del genere. Tuttavia, in definitiva, quale è la ragione o il coacervo di ragioni che, di tanto in tanto, occupano lo stato d’Israele in operazioni militari come quelle del Libano o di Gaza? Sicuramente la necessità di incentivare il proprio colonialismo di cui gli insediamenti e la loro protezione sono la punta di diamante. Ragioni, in definitiva, economiche. Ricordiamo, per inciso, che Israele fonda il proprio stato ed inizia il periodo coloniale proprio sul limitare dell’era della de-colonizzazione che coinvolge le potenze occidentali.

Le ragioni elettoralistiche sono un altro esempio del cinismo che Israele usa come espediente contro i nemici di sempre, se non veri almeno dichiarati. Ingaggiare scontri per far schierare la popolazione è un classico auto-conservativo di tutti i poteri. Ci sono, poi, ragioni politiche più ampie, come la rivalutazione del proprio ruolo, quand’esso dovesse essere messo in discussione da troppa calma od inefficenza nel controllare la situazione di una zona calda come il Medio Oriente. Creare o contribuire a creare situazioni calde dà un certo potere di scambio e di ricatto nei confronti della super-potenza di riferimento, gli Stati Uniti, che deve assolutamente avere un controllo sulla situazione, anche minimo. Finiti i problemi con i palestinesi, addio finanziamenti cospicui.

E’ una buona notizia quella del riconoscimento di paese osservatore all’ONU  conseguito dalla Palestina, per quanto la cosa sia limitante e limitata e, probabilmente, verrà usata come ulteriore arma di ricatto nei confronti dei palestinesi. Israele teme, come sapete, un tribunale sui crimini di guerra perpetrati nella sua area di pertinenza coloniale. Tuttavia, il problema fondamentale è quello della fine dell’occupazione e della restituzione ai palestinesi di ciò che fu loro tolto a cominciare dal 1948, argomento ancora tabù, scostato e manipolato dai nostri media, ricordato solo dagli attivisti internazionali della causa palestinese.

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