La (ir)resistibile ascesa al potere di Hitler, di Kurt Gossweiler, edito da Zambon.

La (ir)resistibile ascesa al potere di Hitler
La (ir)resistibile ascesa al potere di Hitler

Va senz’altro dato atto all’editore Zambon di aver fatto e di fare tuttora un ottimo lavoro di divulgazione di testi storici e politici di area comunista, con un occhio particolare alla storia del socialismo reale europeo e, nello specifico, della DDR. Il libro vede la introduzione di Adriana Chiaia che traccia un parallelo tra storia passata e presente, sottolineando – in particolare – l’incolumità entro la quale sguazzano i rappresentanti del grande capitale monopolistico – sempre collaborazionista – di ieri e di oggi. Un’introduzione che merita una lettura attenta sia per i contenuti che per la forma appassionata con cui questi sono enunciati. Tuttavia, questo testo di Gossweiler è una vera perla, tanto utile quanto censurato dalla nostra classe intellettuale mainstream. Il libro in questione ci ragguaglia con dovizia di particolari sugli aiuti interessati che Hitler ricevette da parte di tutte (indistintamente) le strutture di potere della Germania dell’epoca: dall’esercito al grande capitale monopolistico tedesco ed internazionale (emblematico il caso Henry Ford). Viene parimenti dimostrato che gli unici ad opporsi, con tutti i mezzi possibili, furono i comunisti tedeschi e la parte più sensibile dei socialdemocratici, mentre i dirigenti della socialdemocrazia ed altri partiti più o meno liberaleggianti fecero da zerbini ai nazisti che, grazie all’immenso supporto ricevuto dai capitalisti, ebbero gioco facile ad imporre il loro potere terroristico contro lavoratori ed antifascisti. Insomma, un libro prezioso per capire la storia europea ed il fenomeno fascista, sempre in agguato, appunto perché mai affrontato nelle sue cause di fondo: il capitalismo.

Nella lettura dominante del fenomeno nazista che ha fatto breccia pure in molta storiografia, si è creata la storiella di un Hitler appoggiato dalle masse e di una classe imprenditoriale riluttante ad accettare il nazismo e la sua barbarie. Nulla di più falso, ovviamente. Come sapevamo, e Gossweiler ce lo ricorda con abbondanza di prove , Hitler ebbe il pieno ed attivo appoggio di tutto il grande capitale tedesco perché prometteva l’eliminazione fisica e politica dei comunisti e l’azzeramento del marxismo, vera arma teorica dei lavoratori e di tutti coloro che, socialisti, democratici o religiosi, esprimevano a vario titolo dubbi sul o sabotavano i piani espansivi e di rapina del grande capitale. Si trattava, perciò, di una formidabile identità di vedute, rinsaldata a suon di milioni di marchi e dell’impunità degli sgherri neri. E qui mi fermo per non togliervi il piacere della sorpresa di leggere questa opera della passione civile e politica.
Il libro, tuttavia, nella parte introduttiva della Chiaia, contiene alcuni punti che personalmente non condivido, di cui voglio solo brevemente accennare. Il primo riguarda la critica a Tito che ritengo totalmente sbagliata. L’errore più clamoroso della Chiaia è quello di non menzionare affatto il motivo (economico e politico al tempo stesso) per il quale Tito si oppose alla politica sovietica, più che staliniana.
Sulla questione del lavoro interinale mi sono già espresso in un articolo a parte; c’è però un altro tema interessante affrontato dalla Chiaia, con le cui conclusioni mi trovo d’accordo a metà. A pagina 59, 60 e seguenti si critica il populismo togliattiano, fenomeno culturale che oggi appunto derubricheremo come appartenente alla grande famiglia del populismo, magari anche tendente a destra.
Tuttavia, rileggendo alcune dichiarazioni del Togliatti si capisce molto bene da dove siano state riprese certe tirate contro il grande capitale finanziario, in difesa dei cittadini indifesi e dei piccoli commercianti ed artigiani. Un populismo gaglioffo e furbastro che a nulla di buono ha mai portato. Sono d’accordo a criticare Togliatti ed il suo spesso inconcludente realismo, ma non si può, come fa la Chiaia, nascondere che il Migliore eseguiva gli ordini di Mosca, nel bene e nel male. Non un solo accenno a questo. Un’omissione imbarazzante se si vuole far ripartire il movimento operaio e lottare per un mondo più giusto.

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