Il problema del populismo razziale nell’America della Guerra Fredda.

Discriminazione
Discriminazione

[Traduzione di Sergio Mauri dall’inglese: da Richard Seymour, Lenin’s Tomb, 29/12/2011.]

Nella tradizione politica del Sud degli Stati Uniti, il populismo ha molte valenze. Verso la fine del 19° secolo, ci fu un breve momento in cui le forze politiche populiste sembrava convergessero verso una coalizione anti-capitalista. Sottostante a questo movimento, c’era la transizione della campagna del Sud al capitalismo.

Charles Post sostiene nella sua premiata storia La via americana al capitalismo, che l’economia degli Stati Uniti prima della Guerra Civile avesse un’articolazione di 3 modi di produzione: capitalistico mercantile, piccola produzione di merci, schiavitù. In questa articolazione, il capitalismo era il modo di produzione dominante e i suoi imperativi modellavano e determinavano le forme che i modi di produzione rivali prendevano: le relazioni fra questi modi di produzione determinavano anche le forme-guida della competizione regionale fino alla Guerra Civile. In seguito al successo degli interessi industriali del Nord Est e del Midwest americani nella Guerra Civile, il potere politico del capitale era tale che nessuna restaurazione di modi di produzione pre-capitalistici era ormai possibile. La storia delle piantagioni di cotone di Joseph Reidy descrive come la Depressione degli anni 70 del 1800 forzò i piantatori del Sud a convertirsi in una classe di capitalisti agrari.

I movimenti populisti crebbero quando, sotto i colpi della trasformazione capitalista della campagna del Sud, essi andarono oltre la difesa abituale dei diritti. Col tempo si svilupparono in qualcosa che può considerarsi più che un semplice rigetto della modernità capitalista, connettendo l’Alleanza dei Coltivatori del Sud (SFA), l’Alleanza dei Coltivatori Colored (CFA) e i Cavalieri del Lavoro (KoL) in una coordinata rivolta di sinistra. Non mi addentrerò nel dettaglio delle ragioni del fallimento di questo momento populista. Giudicando dal lavoro di Steven Hahn sul tema, convengo che fra le ragioni chiave c’era la natura segregata del movimento, l’influenza conservatrice dei proprietari terrieri bianchi e la cooptazione di molte tematiche populiste dal perdente candidato presidenziale Democratico nel 1900. Questo è relativo, peraltro, alla storia della Lega Anti-Imperialista, un tema su cui ritornerò. In ogni caso, la sconfitta del populismo del Sud permise ai piantatori di forzare, attraverso mezzi terroristici, la trasformazione capitalista della campagna e di colonizzare completamente le formazioni statali locali quando non le ricreavano del tutto. Quando essi non erano in grado di sussumere completamente il processo di lavoro sotto il controllo capitalistico ricorrevano, come ultima opzione, alla coercizione extra-economica — il sistema Jim Crow rispondeva alla necessità. Questo comportava un doppio binario di repressione ed integrazione. Da una parte, l’esclusione degli Afro-Americani e di molti bianchi poveri dalla vita politica permise l’introduzione di controlli separati sui loro movimenti e condotte che limitò la loro abilità di organizzarsi per i propri interessi. Come affermò un protagonista del tempo:

Se al Negro è permesso impegnarsi in politica, la sua utilità come lavoratore è alla fine.

Dall’altra parte, il rovescio di tale controllo era l’integrazione dei lavoratori bianchi attraverso mezzi paternalistici, molto evidente nelle piantagioni e nelle città emerse dall’industria del cotone. Questo implicò una più estensiva intrusione nella vita quotidiana dei lavoratori bianchi, nonostante la loro maggiore libertà e l’accesso ai beni pubblici. Ciò coinvolgeva i lavoratori bianchi in quanto parte della comunità politico-culturale anglo-sassone. Allora, il populismo razziale poteva cominciare ad essere una forma ricorrente nella politica del Sud grazie, in parte, alla sconfitta e cooptazione del populismo multirazziale sudista di cambio secolo.

Prima di andare allo specifico periodo della Guerra Fredda (1945-65) che considero il “periodo classico” dell’anti-comunismo americano, tenterò di specificare cosa intendo per populismo. In un articolo precedente, mi indirizzai verso gli scritti post-marxisti di Ernesto Laclau sul populismo. Mentre accusavo alcuni problemi con l’argomento, pensavo che un vantaggio della sua interpretazione consisteva nel fatto che non fosse nè puramente descrittiva nè semplicemente storicistica, confinando quella interpretazione di populismo con una certa combinazione o spazio politico, ma piuttosto specificava un nocciolo concettuale che poteva aiutare a dare un senso alla varietà di movimenti e ideologie considerate populiste. Penso che questa sia una qualità che ogni spiegazione di populismo dovrebbe avere per rendere praticabile il concetto. L’essenza della relazione di Laclau è che mentre i richiami di classe (o se preferite, le identificazioni) si riferiscono all’antagonismo tra la classe dominante ed il proletariato, i richiami populisti si riferiscono all’antagonismo tra il “blocco di potere” e la “gente”. Il populismo è così un discorso contro lo status-quo che divide lo spazio politico in una semplice dicotomia della “gente” contro “gli altri”. La “gente” è definita come sovrana senza potere; la vera proprietaria di una gestione politica di cui altri si sono appropriati. Gli “altri”, in questo senso, devono essere un qualcosa come un’elite o un qualcosa di connesso ad essa. Così, il populismo razziale potrebbe rendere “altro” una “Elite giudea” o una “elite multiculturale di sinistra”, o una “elite federale”, che può essere vista in modo più leggero rispetto ad altre connotazioni più “razziali”, “amando”, il populismo, l’altro (piuttosto che la gente) o le connessioni con le cospirazioni mondialiste, ecc. Questo passo è decisivo: il processo di “altrizzazione” è quello che determina il contenuto positivo della “gente”. E’ ciò che semplifica il terreno politico, unendo uno schieramento di attori di classe in (dice Laclau) “una catena di equivalenti”. Il populismo non è, allora, una forma politica come il socialismo o il liberalismo, ma piuttosto una forma di identificazione politica che è tendenzialmente versatile (Laclau direbbe “tendenzialmente vuota”) e una che tende a presentarsi quando l’ordine sociale e il sistema di identità che ne aiuta il sostegno, divengono fluidi. (C’è un argomento per trattare il populismo in maniera storicista, come una forma di transizione di politiche radicatesi nel processo di assorbimento di regioni e popolazioni resistenti al mercato capitalista. Vediamo questo, certamente, nei movimenti populisti del Sud nel tardo 19° secolo, dove le più forti fonti di sostegno populista venivano dalle aree  meno integrate nei mercati nazionale o globale. Nondimeno, il suo ricorrere in una varietà di circostanze, sembra pesare contro questo suo impiego; credo allora sia molto più assennato vederlo come un tipo di politica della crisi. Entro i termini abbozzati sopra, Joseph Lowndes tratta George Wallace come un pioniere del populismo razziale anti-statalista, emergente dalla crisi degli anni ’60, quando la coalizione del New Deal si spezzò sulla questione dei diritti civili. Credo, infatti, che la crisi del sistema sudista sia realmente cominciata dopo la 2^ Guerra Mondiale. Il resoconto di Manning Marable su quell’era in Razza, riforma e ribellione, dimostra che da quel momento era matura la base economica per il collasso di Jim Crow. Egli non si focalizza sull’effettiva sussunzione del lavoro al Sud attraverso i nuovi processi della meccanizzazione e sull’arrivo di una “nuova borghesia del Sud” per la quale Jim Crow era desiderabile ma non essenziale alla propria riproduzione. Egli, piuttosto, dimostra che l’inizio del rafforzamento Afro-Americano era sta posto in essere dalla fine della guerra (evidente nella de-segregazione militare, che intimoriva i politici sudisti perché la minaccia implicita alla supremazia bianca riposava  su una specie di capitolazione alle minacce della disobbedienza civile nera). I politici, di qualunque partito fossero, non potevano permettersi di ignorare dopo la guerra, gli elettori neri e molte delle decisioni importanti della Corte Suprema furono prese nei primi anni ’50. Nel Sud la partecipazione politica dei neri stava gradualmente crescendo e proprio questo intendeva fermare l’ondata di linciaggi. Nel frattempo, il sistema coloniale stava già disintegrandosi e la “linea del colore” era dappertutto in pericolo. Solo la parentesi politica anti-comunista praticata durante la Guerra Fredda riuscì a prevenire la crisi di Jim Crow di modo che non collassasse prima di quanto fece. Voglio, così, suggerire che è negli anni tra il 1948 e il 1964, gli anni-picco della Guerra Fredda, che il populismo razziale sudista venne sviluppato e ridefinito. Cominciò tutto con il Partito dello stato di diritto che divenne la base per il Concilio dei cittadini bianchi e della John Birch Society. Questi gruppi erano organizzati attorno ad una tradizione sudista “controsovversiva” che ha dei precedenti nelle campagne terroriste del Ku Klux Klan ed organizzazioni associate che seguivano la US Civil War il cui obiettivo era la restaurazione della supremazia bianca sotto il dominio democratico.

La “controsovversione” è un insieme di pratiche politiche di cui la controrivoluzione è un sottoinsieme. Essa, la “controsovversione” ha una genealogia particolarmente lunga negli Stati Uniti, dove le presunte cospirazioni dei Massoni, dei Cattolici, Mormoni, Afro-Americani, il “pericolo giallo”, e, naturalmente, dei “rossi”, hanno fatto nascere, serialmente, dei movimenti in difesa dell’Americanismo.  In aggiunta alle sue connotazioni razziali e nazionali, la “controsovversione” è intimamente legata a pratiche patriarcali ed alla mascolina “rigenerazione attraverso la violenza”. La forma dominante di controsovversione nella politica americana al tempo di maggior pericolo per Jim Crow, comunque, era l’anti-comunismo.

La controsovversione anti-comunista, nello specifico, è un insieme di pratiche di classe il cui prodotto è, principalmente, ma non esclusivamente, la conservazione delle esistenti relazioni di dominio su  di un asse di classe. Essa è, a questo proposito, impegnata nella repressione delle frazioni e delle classi ribelli.  Nel trattare l’anti-comunismo come un sistema di pratiche politiche piuttosto che come un’ideologia, ciò a cui sono maggiormente interessato è la linea di demarcazione politica piuttosto che nell’identificare una specifica operazione politica condivisa da anti-comunisti liberal, suprematisti bianchi anti-comunisti,  anti-comunisti Fabiani, anti-comunisti fascisti e così via. Questa linea di demarcazione politica è fra coloro che hanno, come minimo, un nominale impegno anti-capitalista (i comunisti, i loro alleati e i loro critici anti-capitalisti) e quelli che sono impegnati a difendere il capitalismo. Ma, cosa molto importante, quella linea seziona una scena politica che fiorisce entro una formazione sociale concreta, a significare che la difesa del capitalismo non é organizzata attorno ad un sistema di astrazioni (il modo di produzione) ma piuttosto attorno a concreti blocchi politici, forme locali di Stato, modi di dominio, ecc. che non sono immediatamente riducibili agli imperativi capitalisti. Ciò significa che, tali lotte sono contestuali e contestate: tuttavia la supremazia bianca, il “liberosindacalismo”, la “segregazione pragmatica”, o altre politiche o strutture sono considerate essenziali alla efficiente e variabile riproduzione del capitalismo. Le variazioni regionali nel capitalismo americano al tempo della crisi di Jim Crow sono abbastanza chiare. Al nord e all’ovest dominava la produzione fordista, con i lavoratori integrati attraverso mezzi quali gli accordi di produttività e la crescita dei salari (il substrato materiale dell’egemonia) e disciplinati per mezzo dell’anticomunismo (giuramenti di lealtà, la guerra contro i comunisti e la sinistra nel sindacato, ecc.). Nel sud dominavano i piantatori e l’industria tessile. Le aziende tessili erano piccole e poco sindacalizzate. Impiegati e funzionari statali lavoravano per isolare gli attivisti sindacali in quanto “comunisti”, picchiandoli o facendoli sparire piuttosto che integrandoli in un compromesso di classe. Le forze di polizia locali al sud avevano una lunga tradizione di arresti in massa di lavoratori, specialmente di quelli Afro-Americani, in appoggio alla forza lavoro a basso prezzo delle prigioni, utilizzata dalle imprese – una pratica che fu incentivata dal pagamento della cauzione, e che continuò su di una sempre più ampia base per tutti gli anni ’40.

Tutta questa repressione di classe ebbe un aspetto parapolitico e di vigilanza non dissimile dal modo in cui operava il Klan, in alleanza con la polizia per terrorizzare i neri e gli attivisti dei diritti civili o dal modo in cui lì’FBI organizzava perquisizioni illegali sui sospetti “covi” radicali. I limiti foschi dello stato capitalista in questo contesto, dovrebbe ricordarci che esso non è un oggetto, uno strumento o un’istituzione: è, piuttosto, un sistema di relazioni strategiche che facilita l’organizzazione delle classi e frazioni dominanti, di contro alla disorganizzazione delle classi e frazioni dominate. In ogni caso, se i salari in salita e gli accordi sulla produttività lavoravano per integrare il lavoro nel nord e nell’ovest, come parte della più ampia offensiva  contro il comunismo e la sinistra radicale, il sud dipendeva da meccanismi di integrazione differenti. Qui, il substrato materiale dell’egemonia era il “relativo vantaggio” goduto dal lavoro dei bianchi  su quello dei neri. Fu questo che rese i lavoratori bianchi così resistenti alla sindacalizzazione, nella paura che essa erodesse  la loro posizione razziale. Io esito a chiamarlo “privilegio bianco”, perché il sistema non migliorava i salari dei lavoratori bianchi nell’aggregato. I lavoratori bianchi avevano un accesso maggiore ad impieghi di supervisione o a quelli dove fosse richiesta un’esperienza, come risultato della segregazione.  I loro salari tendevano ad essere migliori di quelli dei lavoratori neri. Tuttavia, l’effetto generale fu, in realtà, quello di ridurre il potere di contrattazione sia dei neri che dei bianchi, e di magnificare le ineguaglianze di reddito tra i bianchi o, per metterla in un altro modo, per incrementare il tasso di sfruttamento dei lavoratori bianchi. A questo punto arriva il populismo razziale. Dai tardi anni ’40, come ho detto, il sistema Jim Crow era minacciato. La costruzione dell’impero globale di Washington fu parzialmente responsabile di ciò, in quanto implicava un sistema strategico di orientamenti e contraddizioni con quelli del sud. Prima di tutto Washington, ovviamente, necessitava di costruire alleanze multi-razziali necessariamente anti-comuniste, dato che la maggior parte del mondo non era bianco e non avrebbe continuato ad essere dominato da bianchi.  Gli Stati Uniti avrebbero potuto dispiegare una considerevole violenza  contro gli oppositori, ma non avrebbero potuto dominare solo con la forza. Così, fu sotto una costante pressione che si mitigò il concetto  della supremazia bianca – una questione che prese piede in modo riluttante, perché i politici di Washington per lo più credevano in qualche forma di supremazia bianca, e il sud divenne una componente politicamente potente ed affidabile nella coalizione anti-comunista di casa. Nondimeno, i segregazionisti avrebbero avuto una scusa per lamentare che le truppe venivano usate contro Americani bianchi a Little Rock, piuttosto che contro i comunisti a Pechino. Secondariamente, il sistema internazionale che Washington stava creando era tratto dall’influenza dei New Dealers, mentre il grosso del capitale sudista era contro il New Deal ed in particolar modo si opponeva a qualsiasi cosa (Piano Marshall, ecc.) che puzzasse di “socialismo”. Essi erano scesi a patti con il New Deal in primo luogo assicurandosi che le sue provvigioni fossero “razzialmente caricate” – ad esempio contenendo clausole che escludessero gli Afro-Americani del sud da qualsiasi protezione di impiego o salario. Questo accelerò drammaticamente il divergere degli standard di vita fra bianchi e neri. Così l’ulteriore espansione globale delle idee del New Deal non venivano percepite, al sud, come una minaccia. Il movimento dello Stato di Diritto iniziò la sua attività al principio degli anni ’40, fondandola sul proposito  che la legislazione federale sui diritti civili fosse il culmine di una cospirazione globale comunista. Questa grammatica della controsovversione anti-comunista fu quella che prima avanzò a Washington, naturalmente. L’addebito specifico usato dalle masse del sudper attaccare i diritti umani, i diritti civili e le organizzazioni politiche originate dal HUAC, oppure dal Dipartimento di Giustizia, o dal Sottocomitato per la Sicurezza Interna del Senato (SISS).

Sotto la guida del senatore del Texas Martin Dies, l’HUAC protesse il sud il più a lungo possibile. Ma nel sud, tale controsovversione acquisì, durante la Guerra Fredda, un elemento populista in cui questa cospirazione venne trattata come una di quelle che coinvolgevano le elites – non solo il governo federale, ma i finanzieri e le celebrità – in uno sforzo congiunto con la marmaglia (criminali, contestatori, neri, militanti) per scalzare la gente. La legislazione sui diritti civili avrebbe semplicemente minato una fragile concordia fra gruppi razziali e minoranze, allargando la sfiducia e l’incomprensione, dando in mano un’arma agli agitatori per dividere gli Americani ed addolcirli per la tirannide. Il Partito per lo Stato di Diritto (SRP) metteva in guardia da uno “stato di polizia in un governo burocratico totalitario e centralizzato” che nasceva dalla legislazione Truman sui diritti civili. In generale la visione era che cospiratori controllati dall’estero si erano infiltrati nel governo federale per promuovere un’agenda egualitaria in contraddizione con il venerabile “modo di vivere” del sud, il quale era esso stesso la più pura versione dello stile di vita Americano. La principale tematica di Strom Thurmond nel 1948 era quella posta dal “collettivismo” all’opportunità economica  per gli Americani. Dando eco alle proteste correnti a Washington, egli asseriva che spie e infiltrati erano in cima alle maggiori industrie strategiche così come delle istituzioni politiche e che la Fair Employment Practises Commission era stata introdotta al “sabotaggio dell’America”. Cercando i voti di una minoranza razziale, diceva, i partiti nazionali avevano tutti adottato un programma che “avrebbe aperto le porte al futuro controllo comunista di questa Repubblica”.

Fu, ancora, in seguito al caso Brown contro il Board of Education e la censura di McCarthy che l’articolazione di razzismo e anti-comunismo emerse nella sua più energica forma nella sua modulazione populista. McCarthy non guadagnò mai così tanto sostegno nel sud come con la sua politica autoritaria e anti-comunista. Infatti, i sudisti erano poco propensi a voltare le spalle a McCarthy, nonostante la loro crescente propensione a voltarle ai Repubblicani nei contesti nazionali. Questo succedeva, forse, come suppone Wayne Addison Clarke, perché l’orientamento di base di McCarthy si indirizzava alla creazione di una base di potere locale, in linea con gli argomenti relativi alla politica estera piuttosto che difendere un sistema razziale di caste. Nondimeno egli usò il proprio potere per disseminare delle idee – l’infiltrazione comunista del governo, dell’industria e di Hollywood, una mancanza di sufficiente vigilanza contro il comunismo da parte dei leaders Americani – che i difensori della supremazia bianca avrebbero trovato molto utili. Egli ebbe anche un’influenza personale in numerose lotte politiche contro supposti cripto-comunisti in Stati del sud quali il Texas dove egli formò alleanze con i plutocrati del petrolio. In seguito alla sua fine politica personale, le idee del maccartismo ebbero una nuova vita nel sud fra i ricchi come fra i piccoli imprenditori sudisti, giornalisti ed organizzazioni “patriottiche” come l’American Legion, Minute Man e cosi via.

Il senatore James Eastland fu, per molti aspetti, il McCarthy del sud, esprimendo avversione per il New Deal, il liberalismo e le concessioni al mondo del lavoro che i Democratici sudisti condividevano con i Repubblicani conservatori, il tutto in un gergo distintamente sudista. Eastland lavorò attraverso il SISS per raccogliere e disseminare (dis)informazione sulle organizzazioni per i diritti civili e per organizzare la persecuzione sia degli oppositori alla supremazia bianca che del mondo del lavoro organizzato e della sinistra in generale. Similmente, le pubblicazioni del Concilio dei Cittadini Bianchi (WCC) erano fortemente simili per toni e contenuti a quelle della HUAC, sebbene con un’enfasi calante su razza e identità.

Wallace era un insolente ultimo testimone rispetto a questa forma di populismo razziale. La sua prima formazione lo segnò come critico delle più notevoli forme di supremazia bianca ma, avendo perduto le primarie dei governatori nel 1958 nei confronti di un candidato appoggiato dal KKK, giurò di non venire di nuovo estromesso. Dal 1962 divenne un Diexiecrat patentato, usando le identificazioni populiste per istituirsi come un difensore dei bianchi del sud contro l’apparentemente irrefrenabile tirannia egualitaria.

Nel nome della miglior gente che abbia mai calcato questa terra disegno una linea di demarcazione nella sabbia e getto il guanto di sfida alla tirannia e dico segregazione ora, segregazione domani, segregazione per sempre.

disse all’entrata in carica come governatore dell’Alabama. Questo discorso, scritto da un ex membro del Klan invocava i fantasmi della Confederazione. Sebbene promettendo alla “miglior gente” (i superiori bianchi del sud) protezione dalle sferraglianti catene della tirannia, da un regime che li oltraggiava, li disprezzava e li calpestava, egli scommise anche sulla rivendicazione di un vero Americanismo da parte del sud. “Anche voi siete sudisti” disse ai bianchi del New England, del Mid-West e del Far West. Tuttavia, come molti dei suoi predecessori, Wallace preferiva non focalizzare il suo discorso principalmente sulla razza. E quando si occupava della razza, spesso lo faceva attraverso codici e un linguaggio riccamente simbolico, spesso intercettando le forti tradizioni Protestanti della regione. Ma fu attraverso la razza che egli potè unire le classi medie bianche delle periferie con i lavoratori bianchi: alle classi medie poteva risvegliare la paura per la minaccia ai diritti di proprietà poggianti sulla legislazione per i diritti civili; ai lavoratori potè addurre una supposta minaccia alla sicurezza dell’impiego. Fu attraverso lo stesso linguaggio che egli potè parlare sia ai Polacchi del nord che agli “anglosassoni” del sud. Fu un pretestuoso vittimismo razziale bianco che potè fondere queste classi disparate, questi gruppi etnici e religiosi nella “gente”, in opposizione ad una tirannia delle élites.

Attraverso tutto il periodo che va dal 1945 al 1965, le elites del sud desideravano proteggere il capitalismo suprematista bianco forgiando un’alleanza populista contro la cospirazione comunista. I loro sforzi non erano meramente repressivi, ma cercavano attivamente di allertare e smuovere le forze popolari contro la minaccia ai loro vantaggi razziali. Quelle élites non erano semplicemente conservatrici ma desideravano attivamente direzionare una forza di opposizione contro il blocco di potere di Washington – non per rovesciarlo, ma per ricomporlo negli interessi della supremazia bianca sudista-.

**Nota**: il “blocco di potere” è un concetto che viene da Poulantzas, il quale suppone che un tale blocco sotto il capitalismo giunga ad una forma logica di dominio di classe perché la classe dominante  e le sue alleate sono “costitutivamente divise in frazioni” quale colui che vive sulla rendita, la finanza, il commercio, l’industria, ecc.. Un blocco di potere comprende la “coesistenza di diverse classi” in una “unione contradditoria”. Il “blocco di potere” è così un’alleanza di classi e frazioni dominanti sotto la direzione egemonica della classe o frazione-guida. Non è importante per questa questione, ma vale la pena dirlo che il blocco di potere è unificato, sotto questo aspetto, dallo stato capitalista, poiché la borghesia e le sue frazioni sono incapaci di unificarsi o assemblarsi in un coerente sistema di alleanze di classe, per quanto sono avviluppate nella competizione.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger e studioso di storia, filosofia e argomenti correlati. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Hammerle Editori.
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