Forse, siamo tutti ridicoli.

Spettacolo
Spettacolo

In un articolo dei Wu Ming, intitolato “Quando il capitalismo digitale mette tristezza e fa ribrezzo”, apparso su Giap il 23/04/2012, si parla dell’inaugurazione di un nuovo Apple Store a Roma, in cui

Quelli che vedete sono i commessi, forza-lavoro che partecipa con troppo zelo alla propria messa in ridicolo.
Identificarsi con la multinazionale che ti sfrutta, coi miliardari che ti gettano ossi già piluccati e devi pure ringraziare, perché quella è un’azienda cool.

E’ vero, fa impressione (magari solo a chi viene da una certa storia ed ha una certa cultura e si ricorda ancora del 25 Aprile o del 1° Maggio…) vedere questi ragazzi che, con piglio più giapponese che americano, eseguono lo spettacolino imposto dall’iconica azienda del Think Different.

Tuttavia, la prima cosa che mi passa per la mente è che questi sono gli stessi ragazzi incapaci (nella quasi totalità) di svolgere con perizia e responsabilità il loro lavoro; sono la stessa forza-lavoro impiegata nei call-center, quella forza-lavoro che molti di noi – sbagliando – giustifica perché con una lavoro così non possono fare di meglio che trattarti male, chiuderti una chiamata o farti aspettare  mezz’ora in linea….  Per essere chiaro, io non giustifico più nessuno, ma tant’è: molti lo fanno, immaginando, alcuni, una lotta di classe che in realtà si direziona solo dall’alto verso il basso e non viceversa.

Quei ragazzi sono messi in ridicolo? E’ l’antropologia dei nostri tempi, dove l’aspirazione massima è quella di essere messi in ridicolo, o leccare le terga, ed il lavoro che per i nostri padri e nonni era una dura necessità, ma passeggera, perché l’ideale si poteva raggiungere, oggi per i soloni della sinistra e della destra, per non parlare dei sempiternamente candidi cattolici, è un diritto. Arbeit Macht Frei. E’ un diritto anche quello di essere messi in ridicolo. Come per le femministe o le cultrici della differenza di genere è un diritto indossare una divisa, come gli uomini, mentre molti uomini, fino a pochi decenni fa combattevano le divise tout-court. Ecco la tragedia di aver fatto regredire una giusta lotta al livello dei diritti civili raggiungibili in un contesto capitalistico.

Ridicolizzati, sfruttati, illusi, vezzeggiati, eterni adolescenti con la scusa che non c’è lavoro e nemmeno prospettive. E’ l’antropologia italiana dei nostri tempi, la socialità dei nostri tempi. Allo stadio cosa succede ? Nelle discoteche ? Quali sono le dinamiche? Sempre le stesse, in un andirivieni continuo sulla retta che congiunge il denaro con il successo, passando per la paura di non far parte di nessun gruppo che conti.

Dietro a questi ragazzi, come a moltissimi adulti, c’è il conformismo, la meschinità, l’ipocrisia, la paura. Manca anche la trasmissione generazionale di valori culturali, trasmissione troncata e massacrata dall’avvento del consumismo individualista ed edonista. Ma più di tutto l’assenza di un progetto che possa, in qualche modo, andare oltre tutto ciò.

Chiese: “Volete pane o spettacolo?” Risposero: “Spettacolo! Spettacolo! Spettacolo!”.

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