Filosofia: ipotesi 3^.

Shinto
Shinto

Per quanto riguarda la matematica, e tutto il resto che viene dall’India, è per convenzione che la chiamiamo in altro modo. Parliamo, infatti, di numeri arabi mentre sono indiani. Il futuro, comunque, ci presenterà anche un Oriente industrializzato. Il capitalismo, probabilmente, si mangerà anche le loro spiritualità, perché il compito del capitale è quello di uniformare a sé il mondo.
Ricordiamoci sempre che l’Islam ha alle spalle già una storia monoteista (ebraismo e cristianesimo), cioè viene dopo di noi con tutto l’apporto che ne consegue da parte nostra, che sia stato verso o contro di noi. Per quanto riguarda l’Occidente sappiamo benissimo che è pieno di problemi e responsabilità, ci mancherebbe. Ma non credo se ne esca continuandocelo a ripetere e non criticando chi ci propone modelli infami (paesi islamici e/o tigri asiatiche che siano): perché è proprio questo che ci propongono gli altri…il loro modello. Che i nostri filosofi, politici, ecc. si guardano bene dal criticare. Nessuno ha il coraggio di mettere in discussione nei fatti e non solo a parole questo sistema. Prima di ragionare sul perché tutte le informazioni libere o vere siano censurate nella nostra testa prima ancora che dai media di quello ci si deve rendere conto. E se nessuno ha il coraggio di mettere in discussione l’esistente è anche (non solamente per questo) perché modelli alternativi non ce ne sono.

Preferire il logos o la mistica è questione personale, ma molti occidentali cercano nell’Oriente quello che la tradizione occidentale non ha mai saputo dare: accesso all’extra-razionale.
l’Islam è nato su matrice giudaico-cristiana, ma è sbagliato fare della religione islamica e delle persone che vivono nei paesi islamici un corpus coerente mentre coerente non è. Farne un’unità è lo stesso errore (con altre conseguenze sia chiaro) che hanno fatto i fondamentalisti quando hanno bruciato l’ambasciata di uno stato perché in quello stato erano state pubblicate delle vignette sacrileghe per loro. Non hanno distinto fra stato e giornale, fra nazione e opinione delle persone. E hanno portato questa unificazione fino al parossismo (che poi nel fondamentalismo ci sia questa tendenza permanente ed ineluttabile al parossismo siamo tutti d’accordo).
Il fatto che pragmaticamente né io che scrivo né tu che leggi né QUASI nessuno abbia messo in discussione questo sistema è vero. Ma non nasce dal fatto che non ci siano alternative. Il percorso da fare è quello contrario. Dato che nessuno per ora è riuscito a scuotere pragmaticamente i fondamenti di questo stato di cose ci convinciamo sempre di più che non ci siano alternative. Da una parte sfiducia, dall’altra disimpegno. Ma soprattutto, diciamolo chiaramente: in questo stato di cose le persone stanno bene. Ma per stare bene mettiamo sempre più i piedi in testa ad altri. A paesi del terzo e quarto mondo. Il nostro benessere (in progressiva riduzione) poggia intrinsecamente sulla sofferenza di altri. Bada bene. Questo è SEMPRE stato. Da sempre il bene di alcuni era legato alla sofferenza dei più. Ciò non vuol dire che sia necessariamente così, anche se così finora è stato. Pensa per esempio al femminismo. Fino al movimento femminista alla donna era concesso uno statuto altamente subalterno e sottomesso all’uomo. Fino a quel momento lo statuto della donna non era mai stato messo in discussione. Facilmente si sarebbe potuto dire e forse si è detto che era uno stato di cose necessario. Poi il coraggio dell’azione ha rivelato che quello che fino al giorno prima era necessità in realtà era solo contingenza e come tale poteva essere cambiato. Grazie al cielo non ci sono modelli alternativi già pronti perché altrimenti passeremmo da un pacchetto di opinioni ad un altro acriticamente.
C’è solo un modo di cambiare ed è mantenere viva una coscienza critica che ci permetta non già di scegliere fra modelli, pattern, preconfezionati ma di costruire i nostri, di sovvertire quello che esiste. E la critica va di pari passo con una responsabilizzazione radicale degli individui, di fronte a sé stessi, a chi ci circonda, al proprio stato (che non è un’entità cattiva che ti tassa e che ti da le multe, ma è l’immagine di noi in quanto totalità nazionale), del proprio continente, della propria appartenenza all’umanità e alla natura. Ogni nostra azione è carica di responsabilità. Se voti o no, se credi o no a quello che ti dicono, se leggi o no i giornali di tutte le parti, se critichi o accetti, ma anche se compri o no i prodotti di aziende che agiscono in conformità al tuo criterio etico, se vai o no da McDonalds con coscienza di causa, se ricicli o no.

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