Esegeti e detrattori. Escursioni politiche di vecchi filosofi.

Gyorgy Lukacs ed Anna Seghers
Gyorgy Lukacs ed Anna Seghers

[Pubblico questo testo di critica ai contenuti dell’intervista apparsa sul quotidiano “Il Manifesto” il 4/1/2008 perché credo che le parole della Heller rappresentino uno dei tipici modi di attaccare il marxismo. Criticando lei, ci forniamo delle basi per criticare gli altri. Tutti i detrattori della filosofia di Marx hanno dei tratti comuni: attaccano alcune formulazioni manipolate della teoria, che vengono fatte passare per formulazioni dogmatiche, per rifluire nel gregge del filo-capitalismo, sia esso “liberale”, “socialista” o “cristiano-sociale”. L’attacco al marxismo è stato, dalla sua nascita, “universale”. Altrettanto universale deve essere la sua difesa, attraverso strumenti teorici generali ed universali che ci permettano di fare la tara alla incredibile quantità di porcherie, falsità e manipolazioni che su di esso vengono prodotte, nemmeno solo per calcolo ma soprattutto per ignoranza. La discussione intorno al marxismo deve essere quella che ci permetta di renderlo operativo al meglio e non di eliminarlo per essere soppiantato da una filosofia vecchia e marcescente come quella borghese che domina già da molto prima di Marx. A tutte queste prese di posizione sotto-culturali da parte di filosofi attempati, nemmeno il “manifesto” che si vanta nella sua testatina di essere un “giornale comunista”, oppone una qualche seppur striminzita replica. Non parliamo poi dei vari “intellettuali di sinistra” che parlano solo di attualità e nel modo che più si confà ai padroni delle reti TV da cui vengono mandati in onda! ]

In epoche – come quella attuale – di imbelle opinionismo politico (che è il contrario di ogni teoria politica) e di inutilità di un baricentro etico, ogni cambiamento di idea o posizione politica – ammesso e non concesso che ci siano – assumono le caratteristiche della “ordinaria amministrazione delle cose”, riflesso della composita ed abbondante offerta di “merci sovrastrutturali” (cultura, politica, morale…). La discontinuità del cambiamento serve a confermare la continuità del sistema materiale nel quale siamo costretti, a sigillo dell’opera dei dominanti, volta a porre i fatti e la realtà in cui si svolgono “a testa in giù” anziché “con i piedi per terra”.

Ammesso e non concesso che di cambiamento si tratti e non di semplice tergiversare da una posizione all’altra, come un pendolo che oscilli fra due estremità toccando tutti i punti intermedi nel momento della sua oscillazione.

Un ripensamento, un riposizionamento o addirittura una “tabula rasa” è non solo possibile ma anche auspicabile nel momento in cui ci si accorga di aver combinato solo guai. Ma bisogna essere chiari: questo riposizionamento – oggi – viene operato su e verso ideologie o teorie politiche già presenti (e da molto) nel “mercato delle idee”, finendo per non creare nulla di nuovo ma soltanto un rimestare nel già visto e nel già fatto. E, pure a prescindere da questo, l’atteggiamento in questione non può essere esente da critiche, esattamente come ogni altra azione umana in questo mondo.

Di solito in Occidente la classe intellettuale di cui i media oligarchici si servono, si entusiasma quando si trova in presenza di una escursione politica sinistra-centro o sinistra-destra che conferma la sua esistenza ed il suo conformismo mentre stigmatizza – attraverso un rumoroso silenzio – tutti coloro che non abiurano, che non tradiscono i propri ideali e credono che questo mondo di guerre e privazioni vada cambiato.

Potremmo, quindi, tirare in ballo il conformismo che fa “scegliere” di stare dalla parte del gregge, piuttosto che sforzarsi di parlare apertamente, prendendosi delle responsabilità. O, in aggiunta, parlare dell’insorgere di un problema etico nelle classi intellettuali ( e non da oggi) che sono la “cinghia di trasmissione” del Potere. Sarebbe utile pure questo. Ma è inutile nasconderci che è nella natura totalitaria del capitalismo l’annullamento, l’annichilimento di tutto ciò che non gli si piega, ostacolo alla propria riproduzione economico-politica. La quale ha, sul piano del pensiero, un riflesso deleterio che non esito a definire come una malattia: il “pensiero unico” o universalismo borghese.

L’obiettivo di questo scritto critico è l’intervista di Giuliano Battiston a Agnes Heller, apparsa sul “Manifesto” del 4/1/2008.

Intanto due parole sulla Heller. Nata a Budapest nel 1929, è nota per essere stata allieva di Lukacs ed esponente della scuola di Budapest. Filosofa critica con i regimi dell’est europeo (e per questo molto apprezzata dall’intellighenzia di casa nostra), si ritrova già nel ’56 a parlare di libertà con Bloch, filosofo, scrittore e “teologo dell’ateismo”. La Heller vede nel pluralismo dei marxismi – parallelo al pluralismo del mercato capitalista – una prima conferma del “rinnovamento della filosofia”. E lo scorge anche in Adorno, Fromm e Mills.

Sviluppa il tema della ragion pratica e della “filosofia della vita quotidiana”. Una sorta di pragmatismo in coerenza col suo e di altri abbandono delle “grandi narrazioni” di cui anche il marxismo è parte. Abbandona il marxismo (senza averlo mai abbracciato) e la centralità che esso vede nel lavoro. Si avvicina a Habermas e all’approccio sociologico.

Opere come “la filosofia radicale” e “Il potere della vergogna” teorizzano una fondazione del valore nell’ambito dell’ideale comunità democratica di esseri razionali che pensano autonomamente superando la fondazione ontologico-sociale. Una scelta verso l’astrazione, dunque.

Già attraverso questa sua breve biografia filosofica ci possiamo rendere conto del fatto che la Heller non appartiene ad alcuna “ortodossia marxista”. Al contrario, la sua formazione ed i suoi interessi sono alquanto eclettici e, come lei stessa ammette nell’intervista riguardo allo stesso Lukacs: “Ammetto di non aver capito neanche una parola di quel che disse in quell’occasione Lukacs (nel corso di una lezione, n.d.a.); capii però che era estremamente importante, per me, riuscire a capire proprio quel che non capivo. Fu così che abbandonai le mie lezioni di fisica e cominciai a seguire quelle di filosofia di Lukacs”.

Ancora alcune note introduttive. In Occidente tutte le opinioni hanno lo stesso valore di facciata, mentre quelle che contano ed incidono sono solo quelle che supportano il sistema di dominio. E’ il riflesso sovra-strutturale di un dato di fatto concernente la struttura. In un tale contesto è chiaro che voler esprimere un punto di vista formalmente accettato (l’errore dell’opinionismo!) ma sostanzialmente cestinato, non ha veramente alcun peso né futuro. L’unica via, perciò, è quella di avere una teoria politica che presupponga una posizione di parte, antagonistica ed inaccettabile dal Potere. Questa scissione è l’unico modo per ricomporre l’essere umano, giunto a raffigurarsi (attraverso un pesante indottrinamento) la realtà per l’opposto di ciò che è.

La Heller ha affrontato il marxismo come se fosse un mero codice descrittivo della realtà. Come se il marxismo fosse una fra le tante chiavi di lettura ed interpretazione del mondo. Non è vero che un “codice” valga l’altro o che si possano spiegare le cose con i codici più disparati. Prima di tutto perché non è vero che i linguaggi siano neutri; nemmeno la lingua lo è. Il marxismo non è nel campo della borghesia, anzi è la sua negazione anche se è nato da pensatori provenienti da quella classe. Altri codici, invece, sono nel campo della borghesia. Il marxismo non è un codice linguistico. E’ un metodo scientifico che va applicato alla realtà per potervi incidere. Tutte le altre descrizioni attitudinali che ne sono state date sono prive di fondamento.

Il “Capitale” di Marx non è un Vangelo, non presenta contenuti dogmatici. E’ sintomatico che la Heller legga i testi marxisti per interpretarli come se facesse dell’ermeneutica. Ma il marxismo non è un codice da interpretare, è una scienza da avvalorare o rigettare. Inoltre il marxismo è una critica distruttiva di ogni ideologia. E’ analisi e comprensione scientifica della base materiale che produce e giustifica le ideologie. Esso analizza il capitalismo, ovvero il processo reale e oggettivo dello sfruttamento del lavoro umano. E’ da precisare che la trasformazione del marxismo – o di alcune sue parti – in ideologia è la conseguenza di una passiva sottomissione dei lavoratori allo sviluppo del capitalismo, fino al punto di accettare tutti quei luoghi comuni, quelle pratiche riformistiche e compromessi politici che hanno integrato i lavoratori nel sistema economico-sociale dominante, piegandoli alle logiche dello sfruttamento e dell’oppressione.
Ma vediamo da vicino cosa intende la Heller per dogmatismo e cos’è per il marxismo. Nell’intervista si sostiene che la sua riflessione (della Heller, n.d.a.) sia segnata da una “profonda diffidenza verso ogni forma di assunto dogmatico”. Attribuisce a Lukacs “la verità rivelata” ed un atteggiamento dogmatico. Se dogmatismo è ciò che di immutabile e di fondamentale vi è in una teoria, allora si, una parte del marxismo lo è:il materialismo storico e quello dialettico. Si tratta del metodo d’indagine del quale ho già parlato prima; il metodo ordina ed indirizza i contenuti e non viceversa.

Il problema dell’attacco al “dogmatismo marxista”, del tutto capzioso, è inquadrabile nell’attacco al suo nucleo politico. Infatti mai viene affrontato il metodo ma si attaccano le sue formulazioni più immediate: la lotta di classe, la dittatura del proletariato, lo sfruttamento del lavoro. Ciò viene compiuto per portare all’accettazione del capitalismo, del predominio della classe capitalista, alla collaborazione fra classi con forza sociale contrattuale indubbiamente impari, per cui coloro che hanno meno mezzi (i lavoratori) di fatto soccombono.

Assunto del marxismo è la verifica della teoria nel mondo concreto, della teoria con la pratica che, in definitiva, si influenzano reciprocamente. Basterebbe questa constatazione per mettere in dubbio l’affermazione sul dogmatismo del marxismo. Ma facciamo un esempio noto: subito dopo le rivoluzioni borghesi del 1848 fu proprio Marx a modificare la linea politica che avrebbero dovuto seguire i lavoratori per l’affermazione delle proprie istanze. Dall’appoggio del proletariato alle rivoluzioni borghesi che avrebbero liquidato gli ultimi resti del feudalesimo Marx affermò – constatato il sostanziale, per il proletariato stesso, fallimento di quella linea politica – che solo costituendosi come forza autonoma i lavoratori avrebbero potuto far valere il proprio programma politico. Dov’è dunque il dogmatismo?

Nell’introduzione all’intervista il Battiston nota che la Heller si è trovata a criticare qualunque “monopolio ideologico”, riferendosi – senza ombra di dubbio – anche al marxismo-leninismo. Intanto ci sarebbe da fare subito una distinzione tra stalinismo (con il quale lo stesso Lukacs dovette scendere a patti) e marxismo-leninismo. Le due posizioni politiche non solo hanno delle differenze formali ma portano a soluzioni pratiche del tutto differenti. Prima fra tutte lo smantellamento, da parte stalinista, della teoria del socialismo come fatto possibile solo a livello internazionale (o per lo meno da parte dei paesi più avanzati economicamente) e non di certo in “un paese solo” e arretrato economicamente, come fu nel casi della Russia.

E se vogliamo fare ancora un piccolo esempio, basti considerare la ricostituzione di legittimità del profitto d’impresa come categoria economica che sarà presente in tutta l’esperienza sovietica dello stalinismo fino alla caduta del Muro di berlino. Di quale monopolio ideologico parliamo? Esiste un monopolio nelle giravolte ideologico-politiche dello stalinismo che è quella forma politica particolare che di solito viene chiamata in causa quando si parla di “Socialismo reale”? Dove è il monopolio che immagino sia anche definibile come “granitico” ed in “continuità” con la tradizione precedente?

Oltre a questo, possiamo anche citare la enorme eterogeneità dei marxismi già all’epoca presenti sul piano internazionale a riprova del fatto che si sta parlando in astratto, senza guardare alle concrete forme politiche. E che dire, inoltre, della notevole diversificazione dei “socialismi reali”, da paese a paese, per come si sono realmente e storicamente sviluppati nel corso della loro esistenza? Ancora: quale sarebbe il “monopolio ideologico”? In una situazione frammentata è impossibile qualsiasi monopolio!

La stessa cosa, in parallelo, si può dire della “integrità marxista-leninista” che Battiston cita nell’introduzione all’intervista. La cosiddetta integrità conosciuta dalla Heller era già quella modificata dallo stalinismo e, al contempo, erano presenti già diverse posizioni politiche richiamatesi (nel bene o nel male) formalmente al marxismo-leninismo.

La Heller negli anni ’70 non si occupava di marxismo-leninismo ma teorizzava la “necessità di trasformare le forme della vita quotidiana, prima ancora delle istituzioni politiche; e che poi hanno mal digerito la sua apertura alle procedure liberal-democratiche”.

Dunque abbiamo a che fare con una persona che, quando incontra Lukacs (lui si filosofo marxista) non capisce una parola di ciò che dice e poi studia varie cose, ha degli interessi filosofici indirizzati da una parte che nulla quaglia col marxismo. Nulla di male, basta ammetterlo: la Heller non è mai stata stregata dal marxismo, chiamarla “filosofa marxista” è una forzatura.

Più avanti una vera chicca; riferendosi alla “aspettativa messianica” insita nel marxismo, partorisce questa affermazione: “Ogni messia è un falso messia, che chiude l’orizzonte delle possibilità future”. E chi lo dice? Se, intanto, analizziamo l’importanza e l’influsso del cristianesimo vediamo che esso è stato significativo e non ha chiuso alcun orizzonte futuro. Peraltro, la Chiesa, nel nome del cristianesimo, continua a fare politica, eccome!

Ma, in fondo, ciò che la “filosofa” Heller non vede è che il “Messia” altro non è che uno strumento per spingere la gente a muoversi in una determinata situazione piuttosto che in un’altra. E questa svista è un grave errore. Ancora: “Ogni filosofia deve presentare qualche elemento autobiografico”, sostiene nella introduzione al suo libro “Filosofia radicale”. Bella scoperta! Ognuno di noi nel sostenere la propria visione del mondo è impregnato di se stesso e delle proprie esperienze, quelle vissute in prima persona. Sarebbe pensabile il contrario? Impossibile. Il concetto della Heller si mostra per ciò che, semplicemente, è: una tautologia.

Più avanti la Heller sostiene che Lukacs fosse convinto di possedere la verità eterna. Il problema è questo: la Heller non sa che il marxismo è una scienza e Lukacs, nell’assimilarla si è posto sul piano di uno scienziato. E’ come dare del millantatore ad un fisico che sa spiegarti la teoria dei quanti che un giorno sarà pure aggiornata e superata (come è naturale per ogni apparato scientifico che non si fondi sulla fede ma sulla spiegazione dei fenomeni attraverso la loro riproducibilità) ma per il momento ci dà gli strumenti per capire il comportamento della materia a livello microscopico.

Allo stesso modo, le esaustive teorie sul plusvalore di Marx (perfezionate rispetto a precedenti enunciazioni di pensatori che nulla avevano a che fare col comunismo) non possono essere semplicemente criticate, varrebbe la pena di correggerle, cosa che ancora nessuno si è preso la briga di fare, limitandosi ad un attacco ideologico o ad un rumoroso silenzio sul corpo dottrinario marxista.

Ma più insistiamo nell’analisi delle dichiarazioni della Heller, più ci rendiamo conto della sua estraneità al marxismo che sarebbe collegato alla filosofa per il semplice fatto di essere stata parte della scuola di Budapest. Anche in questo caso la filosofa è sfortunata: non solo dichiarò che quella scuola operò una “costante e sistematica distruzione del marxismo” ma ha ammesso la enorme eterogeneità di chi vi fece parte. E’ difficile credere che una qualche forma, anche superficiale, di “monoliticità dottrinaria” venisse rispettata.

 

Ma le “perle” non finiscono qui. Più avanti leggiamo: “Penso che non ci sia alcun futuro per gli ismi. Il marxismo è solo uno fra questi e, come lo strutturalismo e il funzionalismo, non avrà futuro, non nei prossimi venti o trent’anni almeno”. Perché dopo si, forse? Su quali basi? E poi: quanti luoghi comuni, parlare di ismi mettendo nello stesso calderone cose disomogenee senza distinguerle in maniera debita. E, più avanti ancora, la Heller continua a vedere il marxismo sotto un aspetto eminentemente ermeneutica affermando che si puù “continuare ad interpretare i suoi testi”. Ma è indubbio che, nell’intervista in questione, ci siano degli spunti interessanti, soprattutto nella parte finale della stessa. Il Battiston riassume il punto di vista della Heller: “Qualunque politica redentivi è incompatibile con la condizione politica post-moderna”.

Questo è il primo dato interessante, la prima affermazione degna di nota di tutta l’intervista. Questa affermazione si accompagna all’altra dell’intervistatore: “…dovremmo accettare il meramente esistente”. La Heller si spiega meglio: “Non penso affatto che l’esistente sia necessario così com’è ma riconosco che alcune cose sono impossibili, tanto l’abolizione del mercato quanto la libertà di creare istituzioni politiche o l’eliminazione della scienza e delle tecnologie”.

L’ennesima tautologia: ciò che esiste, esiste! E’ la classica mentalità conservatrice che esce allo scoperto allorché si gratti la superficie di una personalità. Il Battiston imbecca,a questo punto, la Heller: “Perciò sarebbero possibili delle trasformazioni all’interno delle coordinate già tracciate ma non la costruzione di una società completamente “libera dal dominio”, quella società che secondo lei è pensabile solo se crediamo alla chimera di una rivoluzione antropologica?”.

Intanto devo precisare che, per il marxismo, una tale rivoluzione è pensabile solo DOPO che si sia verificata quella politico-sociale. Mentre dall’affermazione del Battiston che riporta le posizioni Helleriane, si evince l’esatto contrario. Si tratta di un vero errore cognitivo. La successiva risposta della filosofa è piuttosto interessante: “Una trasformazione antropologica – che forse non è impossibile ma molto improbabile – così com’è stata sognata da Kant e dallo stesso Marx parte dall’idea che ci sarà un tempo in cui l’uomo empirico e la specie umana verranno finalmente “riuniti”, un tempo in cui ogni singola persona diventerà assolutamente buona e, dimenticando ogni elemento individualistico e particolaristico finirà con l’assomigliare a Cristo. Da parte mia dubito innanzitutto che sia una prospettiva vivibile e desiderabile; se in tutta la storia del genere umano l’essenza umana è rimasta così com’è, perché dovrebbe improvvisamente cambiare durante la nostra particolare contingenza storica?”

Il problema di fondo è questo: si parla sempre del marxismo e delle realtà sociali che si ritiene abbia contribuito a costruire come fossero l’inferno nel mentre lo si critica per la sua visione “paradisiaca” della società umana e del mondo, immaginando che esso abbia delle aspettative eccessive verso l’umanità. Si faccia dunque chiarezza sia sul piano della visione politica, sia su quello della teoria, come su quello dei riscontri concreti della applicazione della teoria stessa e si faccia la debita distinzione fra l’assunto teorico e quanto di esso si ritrova nella sua pratica applicazione.

Intanto, ciò che sappiamo è che la Heller preferisce le articolate e profonde problematiche della società capitalista alla risoluzione dei problemi che, evidentemente, renderebbe questo mondo noioso per i “filosofi”.

La Heller parla della “trasformazione antropologica” e ritorna a menzionare la presunta idea di Marx “che ci sarà un tempo in cui l’uomo empirico e la specie umana verranno finalmente riuniti…”. Non si comprende questa opinione intorno a Marx, visto come un ingenuo sognatore, salvo poi incolparlo di inettitudine filosofica quando non addirittura di correità con i regimi del “Socialismo reale” di cui si vedono, forzatamente, solo le cose che non funzionavano, cancellando gli innegabili successi del sistema stesso. In primo luogo la creazione di una popolazione con capacità lavorative e culturali – di cui in Occidente continuiamo ad avere necessità – a spese dello…Stato socialista!

A questo punto – e siamo alla fine dell’intervista – le dichiarazioni della Heller sono sintomatiche dell’errore di fondo che tutti i detrattori di Marx compiono. Parlo proprio di un errore metodologico che una ”mente un minimo strutturata”, come dovrebbe essere quella della filosofa, non dovrebbe fare. Ascoltiamola mentre risponde all’intervistatore, intorno alla affermazione contenuta nel suo libro “Oltre la giustizia” in cui dice, di nuovo, che “una società totalmente giusta è possibile ma non auspicabile”.

La Heller risponde: “Perché in una società simile nessuno potrebbe dire ‘questo è ingiusto’; il che ovviamente non è augurabile. Si tratterebbe di una società non dinamica, senza pluralismo delle opinioni, scontri e politica. E’ questo il mondo che vogliamo? Un mondo senza conflitti, un paradiso, un giardino dell’Eden? Non penso che vorremmo vivere in un posto simile, dunque non credo che una società totalmente giusta sia auspicabile.”.

La prima cosa da stigmatizzare in queste opinioni è la manipolazione delle idee di Marx che mai e poi mai ha pensato di proporre delle ricette “paradisiache”, attraverso astrazioni dalla realtà o fideismi. La seconda cosa è che con questa ipotesi, falsa, sulle intenzioni di Marx e sulle possibili ipotesi proponibili da qualsiasi altro “pulpito politico”, vista la sostanziale inconsistenza di esse, le stesse si annullano, segnalando per ciò che è questa opinione della filosofa: una semplice e volgare boutade.

La Heller quindi ha simpatia per una società che sia calco perenne di quella capitalista, dove le ingiustizie ci siano, siano garantite per statuto. Così avremo sempre la possibilità di dire: “Questo è ingiusto”. Mantenere, giustificandolo, lo status-quo.

Da quanto sostiene la Heller l’unica società dinamica sarebbe quella capitalistica nella quale gli scontri e i motivi per attuarli abbondano e sono all’ordine del giorno. E’ l’unica via, secondo la filosofa, per avere una società dinamica. Una società fondata sul “pluralismo delle opinioni”, ossimoro della cultura borghese, riflesso della sua frammentazione sociale, è per Heller positivo e pure fecondo.

Il marxismo ha trovato nel Socialismo la sua proposta di società alternativa al capitalismo e questa proposta mai è stata così scellerata da porre in questione il fatto che si volesse creare un paradiso in terra. La proposta ha sempre puntato l’attenzione sulla sperequazione sociale, sulla pessima e colpevole ripartizione dei mezzi economici per il sostentamento della collettività, lanciando il messaggio che fosse possibile dare alla collettività stessa una eguale base di partenza dalla quale tutti fossero messi nelle condizioni di dare il meglio di se. Si trattava di eliminare le determinazioni economiche proprie del capitalismo per dare a tutti pari opportunità nell’accesso alle ricchezze, si trattasse di beni, servizi, cultura.

Nulla a che vedere coi “giardini dell’Eden” o altre manipolazioni ideologiche. In definitiva, abbiamo visto come si definisce marxista una filosofa per poter meglio attaccare una teoria filosofica e quali manipolazioni sia in grado di operare sulla teoria di Marx attribuendole finalità che non le sono mai state proprie. Una filosofa che , in realtà, ben poco ha avuto a che fare col metodo marxista che non si propone di interpretare ed accettare il mondo così com’è ma di cambiarlo, una volta per tutte.

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