Dobbiamo valorizzare le opere d’arte contemporanee o antiche che siano?

Arte digitale
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Si, perché l’opera d’arte non è consumabile come fosse un paio di scarpe. Questa è la sua e la nostra forza.

Viviamo in una società dichiarata di mercato, in realtà fondata sull’oligopolio. Il consumismo attuale esaspera i meccanismi della nostra economia la cui riproduzione viene affidata all’induzione, nei consumatori, di bisogni superflui, fittizi. Ciò non è assolutamente innato nell’uomo; si tratta, all’opposto, di una forzatura decisa politicamente. L’economia di scala non fa che aumentare, virtualmente all’infinito, l’induzione di questi bisogni, aspettative, obiettivi irraggiungibili, trasformandoci in esseri conformisti ed asserviti, spesso anche nevrotici. L’aspetto ricattatorio del meccanismo è rappresentato dalla minaccia del crollo economico se i consumi non vengono sostenuti. Uno degli effetti, sul piano sociale, di questa politica economica che ha anche delle controindicazioni culturali (1) consiste nell’esplosione di psicopatologie sociali (bulimia, anoressia, depressione, nevrosi varie…) oramai definite come tipiche del nostro tempo.

Una prima differenza fra un oggetto di consumo ed un’opera d’arte risiede, nella necessità di un tempo anche molto lungo per l’ispirazione, la progettazione, la creazione e la veicolazione di quest’ultima. Una seconda differenza consiste nel fatto che l’arte, come altre forme d’arte che si ispirano a necessità profonde, pre-razionali, sono delle forme archetipiche di rappresentazione dell’umano. Sono quindi meno attaccabili di altre forme sul piano della mera commercializzazione consumistica. Qualcuno obietterà che oggi anche l’arte è svilita a mero oggetto di consumo. In parte, solo in parte. Essa, al contrario resiste nei movimenti artistici in Europa come nel mondo attraverso il lavoro di molti giovani e meno giovani artisti che vivono l’arte come quotidiana realizzazione del proprio mondo interiore ed espressivo.

Un paio di scarpe, e arrivo al dunque, come un abito acquistato in un monomarca, al massimo lo terremo per un paio d’anni. Noi, invece, ed è questa la differenza più profonda, di Degas come di Leonardo, ancor oggi possiamo godere le opere, ed esse, al pari delle poesie di un Montale o dei romanzi di DF Wallace, saranno inconsumate finché vivrà l’umanità, cioè per molti millenni ancora.

Perciò, la risposta al quesito che da il titolo al post di oggi è: si, dobbiamo conservare le opere d’arte e stimolare la creazione di altre, perché così facendo salviamo l’uomo, il suo nucleo, la sua essenza fondante, gli diamo forza e continuità per i millenni a venire.

Note: (1) In una cultura come la nostra, di origine giudaico-cristiana, impostata sul raggiungimento di un obiettivo, di una finalità, mal si digerisce un messaggio (obbligatorio) fondato su cicli di consumo. Il cerchio non riesce a sostituire la retta.

**Aggiornamento**

Riporto il seguente commento che mi sembra significativo e particolarmente in argomento:

Giovanna ha scritto: “per quanto l’arte e le antichità possano essere eterne, sono i valori trasmessi da questa nuova società che le stanno facendo scomparire, l’antico è visto come qualcosa da cui sfuggire, mentre l’ultimo modello di un cellulare o di un vestito sono visti come qualcosa di veramente eccezionale. Perché il consumismo ti porta ad un continuo cambiamento, l’arte e le cose antiche portano a bloccare il tempo facendo dimenticare che certe opere sono state create magari secoli fa.”

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