Austerità e Islamofobia corrono sullo stesso binario. Il caso Lutfur Rahman.

Lutfur Rahman
Lutfur Rahman

Siamo sempre più convinti che le misure di austerità, volte a salvaguardare i profitti di pochi a discapito di tutte e tutti, possano imporsi grazie ad un maggiore autoritarismo ben nutrito da richieste securitarie e di controllo sociale. Prime vittime di questo corso politico sono gli immigrati e soprattutto coloro che occupano la parte più bassa della scala sociale: i musulmani. Dunque, ecco il fiorire dell’islamofobia, dell’autoritarismo, dell’austerità, tutte cose che vanno a braccetto ed hanno costruito attorno a noi un cordone sanitario materiale ed ideologico che ci asfissia.

Un caso eclatante che rischia di fare scuola è quello di Lutfur Rahman. Rahman è stato votato sindaco nel distretto londinese di Tower Hamlets, da ben 37.000 persone, su circa 90.000 aventi diritto di voto. È stato deposto dal suo ruolo di sindaco non a seguito di nuove elezioni, non in seguito ad un arresto, ma da quattro politici locali che lo hanno trascinato in tribunale e fatto giudicare non da un magistrato, ma da un avvocato.

Secondo i singolari canoni della common law inglese vi possono essere dei giudizi, con valore di legge, espressi da semplici avvocati, magari anziani o di un certo peso personale, senza passare per un giudice togato.

Il 23 aprile scorso è stato, quindi, dichiarato colpevole di tutta una serie di reati e violazioni del Representation of the People Act del 1983. Si tratta, tuttavia, di un castello accusatorio piuttosto inconsistente, mentre mi sembra essere stato messo in atto un attacco frontale alla democrazia.

Nel verdetto si accenna al reato di apostasia. Viene chiaramente affermato che “esso viene trattato con grande serietà“. Inoltre: “sarebbe sbagliato, quindi, trattare la comunità islamica di Tower Hamlets con gli standards di una élite metropolitana laica e largamente agnostica“.

Ecco il punto! La legge viene applicata in modo differente ai musulmani rispetto all’ “élite agnostica metropolitana“. Qualsiasi essa sia. Ma vediamo di dare una breve scorsa alle accuse.

Ferite spirituali. Le prove contro Lutfur sono qui limitate. Una è una lettera di sostegno scritta da alcuni imam; un’altra è un discorso di un imam durante un matrimonio. Nessuna di queste due cosiddette prove può venire caratterizzata dallo spirito implicito nell’offesa o nella ferita spirituale, poiché presupporrebbe una figura religiosa che dichiarasse peccaminoso votare per un candidato piuttosto che per un altro. Vi sono solo dei sentito dire. Jen Izaakson, un testimone presente anch’egli in tribunale, ha visto cinque testimoni di fede musulmana ai quali è stato ripetutamente chiesto: “avete detto che era proibito non votare per fratello Lutfur?“, neanche costoro fossero allievi di una qualche scuola religiosa nella posizione di esprimere un giudizio in questo senso.

Nell’Islàm vi è un dibattito su chi votare alle elezioni, ma non su quale candidato rappresenti la scelta di Dio. Parlare per conto di Dio, nell’Islàm, è sacrilegio.

Il “giudice” ha scelto di interpretare il “vero significato” delle lettere degli imams asserendo che costoro minacciavano delle ferite spirituali a coloro che non lo avrebbero votato.

Questo quando Lutfur iniziava a parlare di razzismo e il “giudice” cominciava a dire che “certi messaggi in codice esistono solo nella testa di chi accusa“. (!)

L’accusa, inoltre, presuppone che i musulmani di Tower Hamlets siano teleguidati dai loro imam e non abbiano possibilità di esprimersi o pensare con le loro teste. Il caso più recente di “ferita spirituale” viene dal 19° secolo nell’Irlanda occupata. La legge dipingeva i contadini cattolici come dei cafoni ignoranti manipolati dai preti ed incapaci di discernere e viene ora usata per negare il diritto dei residenti a scegliersi un rappresentante fuori dal sistema dei partiti. (Lutfur è indipendente).

Frode individuale nel voto postale. Si dice che un paio di votanti si sono registrati con indirizzi falsi. Si sarebbero quindi esposti al codice penale per votare due volte. Due voti in più con frode, su circa 90,000 votanti di Tower Hamlets! La prova di questa cosa è stata fornita dalla testimonianza di Andrew Gilligan, un giornalista di destra del Telegraph che asserisce di aver seguito le tracce di Lutfur per anni.

Ciò che ha affermato il giornalista è semplicemnte che due consiglieri di Tower Hamlets hanno dei doppi indirizzi. Quindi Rahman è stato ritenuto colpevole sulla semplice parola di Gilligan, ma senza prove. Il reato sarebbe stato quello (non provato) del doppio voto.

Frode di massa nel voto per posta. Questo addebito è il più serio contro Rahman. Ma non è stato confermato.

Intimidazioni fuori dei seggi elettorali. Il giudizio presenta prove di attivisti che avrebbero minacciato i votanti al ballottaggio, in lingua bengalese, anche se essendo il ballottaggio segreto, avrebbero potuto – le minacce – sortire l’effetto opposto. La polizia al contrario ha confermato la buona condotta durante tutto il periodo elettorale, con pochi ed isolati casi problematici.

Corruzione. Il “giudice” accusa Lutfur di aver dirottato dei fondi alla comunità bengalesa per procurarsi dei voti. Il pezzo forte, la prova provata della corruzione, consiste nella relazione della Pricewaterhouse Coopers che, mentre evidenzia una scarsa pratica nella stesura della stessa, non ne trova alcuna riguardo frodi o corruzione. Gli ispettori della Pricewaterhouse Coopers erano stati incaricati dal governo centrale.

Corruzione dei media. Il tribunale ha affermato contemporaneamente che la stampa locale bengalese era naturalmente a sostegno di Lutfur e che egli l’ha corrotta per renderla tale. Entrambi gli argomenti sono, sostanzialmente, in contraddizione.

False affermazioni. Il tribunale afferma che Lutfur ha accusato falsamente il suo rivale laburista, John Biggs, di essere un razzista. Si tratta di ulteriori “sentito dire“, un comunicato stampa che accusa Biggs di dubbia testimonianza sulla questione razziale ed un altro in cui lo si accusa di essere “razzialmente insensibile“. Nessuna vera accusa di razzismo allora. Tuttavia, durante una seduta del Consiglio ci fu Alibor Chandhry, dello stesso raggruppamento di Rahman, che fece una dichiarazione inappropriata su Biggs, definendolo un “fascista” dopo che un consigliere di Biggs aveva chiamato la comunità bengalese “gente del curry“. Tutto ciò fuori dal periodo elettorale, quando le regole sulla falsa testimonianza non si applicano .

Il razzismo comunque è al centro del caso. In tribunale, ad ogni testimone è stato chiesto: “hai dato del curry ai votanti?

Offerte (in cambio di voti). Le accuse sono in bilico, poiché non confermate.

Ci sono, inoltre, alcune cose ancora da sottilineare. Molti giornalisti hanno tranquillamente scritto che la corruzione è connaturata all’essere bengalese o che Lutfur è parte di una cultura feudale, zelantemente religiosa, che è “stata importata“.

Tutto ciò anche se Lutfur è cresciuto nel Regno Unito e fu definito come “un tipo abbastanza laico” dal rivale John Biggs. Il tribunale si fa anche forte del dossier Helal Abbes del 2009 in cui si accusava Rahman di avere “aggiustato le procedure democratiche” e in cui si accusava Rahman di islamismo, mentre veniva fotografato con delle succinte drag queens.(!). Lo stesso tribunale sostiene che i bengalesi “non sono una vera comunità“. Da ricordare, inoltre, il legame politico di Rahman con Respect e George Galloway, fiero difensore della causa palestinese ed antifascista.

Tuttavia, la cosa veramente interessante consiste nel legame diretto tra la tendenza al sovvertimento delle regole democratiche e l’odio per le politiche sociali non in linea con l’austerità. Infatti i sostenitori di Lutfur, coloro che lo difendono e lo hanno votato, sostengono di averlo fatto non perché li abbia corrotti, ma perché nei suoi primi 4 anni di governo ha bloccato la “bedroom tax” che riduce il sostegno agli affittuari in età da lavoro; ha riammesso i corsi per i disoccupati; provveduto alle borse di studio; investito 10milioni di sterline per le politiche giovanili; costruito molta più edilizia popolare di qualsiasi altra autorità locale.

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