Arte: il mercato e ciò che ad esso sfugge.

Pordenone_MONTANARI_RESTA_COSI_1990
Pordenone_MONTANARI_RESTA_COSI_1990

[…] Naturalmente anche il capitale sfrutta queste relazioni di cooperazione, questa umana capacità di lavorare insieme. Perciò dico: il capitalismo è soltanto una forma perversa di organizzare il comunismo. Nemmeno il socialismo di stato era una forma adeguata di organizzazione sociale. […]  David Graeber, Goldsmith College, Londra

Qual è il significato dell’affermazione dello studioso inglese? Lasciate da parte, per un momento, il contenuto strettamente politico dell’affermazione del’antropologo. In arte, la cooperazione consiste in tutte quelle cose che a fatica possiamo monetizzare; in ciò che si tramanda nell’insegnamento, nel rubare il mestiere con l’occhio, nell’intercettare i messaggi che girano intorno a noi e nella capacità umana (innata) di creare, assemblando e rimodellando, ciò che la quotidianità e la nostra dimensione ambientale – ovvero la cultura – ci offrono. Ma anche nei lunghi incontri e discussioni fra artisti, fra pubblico ed artisti, fra intellettuali ed artisti e chi più ne ha più ne metta. Come ho già osservato, l’arte esiste anche senza il mercato. In effetti, parafrasando l’affermazione dell’antropologo David Graeber, potremmo dire che “il mercato è un modo perverso di organizzare la produzione e fruizione dell’arte”. Perverso, ma necessario; sicuramente non l’unico possibile.

Lasciando in pace Graeber, spostiamoci a parlare di Carlo Vanoni, mio banditore preferito su Orler TV. Nulla da eccepire alle sue affermazioni: egli si stupisce di chi distingue le due cose, ovvero arte e mercato. L’una e l’altra si fondono e confondono; l’una non esiste senza l’altra. Non so a chi egli si riferisca, ma la distinzione non è infondata, anzi, basta argomentarla. Egli sostiene che arte e mercato sono un tutt’uno, non sono separabili. Il punto non è quello di separare le due cose, ma di fare una distinzione sulla loro reciproca natura, funzione, significato. Il punto è che, per comprendere un fenomeno  nella sua unitarietà, lo si deve scomporre per distinguere attentamente le parti di cui si compone e valutarne il differente valore e peso qualitativi. Nessuno ha mai voluto separare le cose che, dopotutto, si presentano indipendentemente alla nostra volontà.

E’ vero che nella nostra società, storicamente affermatasi e storicamente determinatasi, i mezzi che offre il mercato sono da usare per ampliare la produzione, la fruizione e la conoscenza dell’arte. Nessuno lo mette in dubbio, ma il primo limite dell’affermazione risiede nell’affermazione stessa: quanti artisti validi rimangono fuori da ciò, a tutto vantaggio di scriteriati modaioli, per mancanza di fondi, attenzione, per scelte non conformi al dettato della moda del momento?

In secondo luogo, il mercato non è una libera scelta, ma il prodotto di ciò che si affermava due periodi fa: la storia come determinazione. E’ come quando devo chiamare la polizia e non posso farmi giustizia da solo o andare da dei personaggi che svolgano il tetro lavoro per me: sono passibile di repressione da parte della società di cui faccio parte. Non c’è libera scelta.

Tuttavia, queste ragioni sono di contorno e magari di ampliamento della questione originaria mentre la domanda a cui deve rispondere chi, come Vanoni, glorifica un modo di organizzare la produzione  e fruizione di un qualche cosa come se fossero eterni è: da quando è diventato un artista Pordenone Montanari?

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