Arte e Scienza.

Nelson_Goodmann
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di Sergio Mauri

Parleremo delle teorie di Nelson Goodmann. La cosa stimolante dei suoi studi è che tenta di affrontare la grossa questione, inerente la nostra filosofia, per cui tutto ciò che non è scienza non ha valore conoscitivo. Goodmann, sbarazzandosi della tradizione critica, a mio avviso realizza l’eterna tendenza dell’uomo borghese che rivoluziona di continuo i mezzi interpretativi della realtà per non toccare mai il modo di produzione dominante che li determina. Egli risolve le contraddizioni solo nell’astrarle dal modo di produrre: esse si superano solo nella sovrastruttura. Quindi, in realtà non si supera; ricrea continuamente le proprie contraddizioni. Ogni superamento sovrastrutturale è la conferma della conservazione strutturale.

Le tre tesi del suo lavoro (I linguaggi dell’arte) sono:

1-critica radicale ad ogni forma di realismo nelle arti visive. Una rappresentazione è realistica solo relativamente a un certo determinato sistema rappresentazionale storicamente consolidatosi e accettato al momento come sistema standard;

2-l’arte non è solo emozione. Goodmann nega che ci sia una dicotomia tra emotivo e conoscitivo, tra arte e scienza. Afferma che nell’esperienza estetica le emozioni funzionano cognitivamente;

3-si dà risalto ai momenti di convergenza tra attività conoscitiva ed estetica. Entrambe consistono nel trattare simboli, nell’inventare, applicare, interpretare, trasformare, manipolare simboli e sistemi simbolici. I vari sistemi simbolici sono una sorta di linguaggi articolabili secondo variazioni delle caratteristiche sintattiche e semantiche delle loro notazioni. Qui entrano in gioco semiologia e strutturalismo come griglia interpretativa del codice, rappresentato dall’opera d’arte. Goodmann ha costruito la “Teoria della notazione” come studio sistematico dei simboli e dei sistemi simbolici.

Ciò, a mio avviso, si rende possibile nel momento in cui si pensa che ciò che in arte è realizzato è “sincrono” con la realtà e quindi non trascendente. In passato l’arte (fino a quella romantica e dopo) aveva, da una parte, un significato anche di critica dell’esistente e di forza sperimentale; dall’altra era sempre (questa è la dannazione fatale dell’arte) conciliativa, in ultima analisi. Oggi è diverso. La realtà è già conosciuta, non criticabile o emendabile, basta leggerla, descriverla, al massimo interpretarla. Goodmann rifiuta il giudizio di valore in estetica. Secondo lui “il compito primario dell’estetica sta nel discriminare e interrelare gli aspetti secondo i quali si devono percepire e comprendere le opere d’arte”. L’opera di Goodmann è interamente volta ad abbattere la barriera che separa l’arte dalla scienza per aprire la via a uno studio generale e unificato dei modi di simbolizzazione. E quale momento migliore per farlo se non quello in cui il mondo è soggetto alla scienza applicata e l’arte non rappresenta nulla che abbia uno specifico e riconosciuto valore: è una banale decorazione dell’ambiente in cui si vive.

Il lavoro di Goodmann interloquisce e presuppone quelli di Quine e Carnap.

Quine → Egli non privilegia gli oggetti concreti rispetto alle entità astratte o viceversa la classe verso l’oggetto fisico. Epistemologicamente ed empiricamente queste esistenze sono egualmente impegnative.

Quadri concettuali e rispettivi linguaggi costruiti presupponendo l’esistenza di piani ontologici specifici (sensazioni, oggetti fisici, classi) vanno giudicati per la loro capacità adottare e ordinare i frammenti sparsi dell’esperienza.

Ogni linguaggio obbedisce ai propri scopi e non è eliminabile a favore di un qualche linguaggio fondamentale. Se usiamo un certo linguaggio presupponiamo una certa ontologia e ci riferiamo in quel certo modo al mondo.

Carnap → Sottolinea la natura convenzionale delle costruzioni linguistiche. Un linguaggio è costituito da un vocabolario di costanti descrittive (nomi individuali e predicati) , di variabili e di costanti logiche; da regole di formazione che delimitano l’insieme di sequenze di simboli ben formate; da regole di trasformazione che ci dicono come passare da alcune di queste scelte come assiomi alle altre; da regole di corrispondenza che assicurano un’interpretazione a questa struttura sintattica e indicano il significato dei termini e delle operazioni, correlandoli a un campo di riferimento. In un linguaggio “cosale”, le cose di cui discutere sono precisamente quelle → il piano della discussione è chiaramente quello. All’interno di quel piano non possiamo però porci correttamente domande circa la realtà del mondo cosale, della struttura nel suo complesso → altro piano di discussione. L’accettazione e l’utilizzazione del linguaggio cosale ha piuttosto motivazioni pragmatiche e la scelta di una forma di espressione è legata a considerazioni di efficienza, semplicità, fecondità. Sia Quine che Carnap concordano nel delineare una situazione di relativismo ontologico. Ma secondo Quine l’ontologia non è questione di puro linguaggio ma ha radici complesse nell’esperienza, nella prassi, nel metodo. Secondo Carnap essa è una convenzione linguistica separata da considerazioni empiriche o pragmatiche. Goodmann affronta il nodo (quando si discute d’arte) tra linguaggio ed ontologia, accettando la convenzione del primo ed il relativismo della seconda.

I modi in cui parliamo e descriviamo il mondo, lo vediamo e lo sperimentiamo, non dicono niente sul modo d’essere del mondo, perché ci sono molti modi d’essere del mondo ed ogni descrizione ne coglie uno. Secondo me ciò è vero se noi accettiamo per buone le descrizioni di soggetti slegati da relazioni con altri soggetti. Questo punto di vista è di un individualismo radicale, che fa del soggetto un protagonista univoco ed autocratico della propria vita. Ciò che più semplicemente vuol dire Goodmann è che bisogna distinguere tra struttura del mondo e struttura della descrizione che ne diamo, perché esse non coincidono mai. Richiedere a un sistema linguistico una corrispondenza strutturale equivale a correlare due descrizioni del mondo senza mai chiamare in causa il mondo di per sé.

Per quanto si possa regredire, non ci è dato confrontare i quadri concettuali che stiamo costruendo con una realtà non concettualizzata, non linguisticamente o visivamente già organizzata in qualche modo. Sono sempre versioni diverse della realtà che entrano in relazione. Nell’esperienza estetica – per Goodmann la tradizione dipinge l’atteggiamento estetico come contemplazione passiva del dato immediato, apprensione diretta di ciò che è dato, incontaminata da qualsiasi concettualizzazione isolata dal passato e dalle promesse del futuro. Con riti purificatori siamo chiamati ad inseguire una visione originaria immacolata del mondo. Ma i dati ci sono e non sono immediati. Queste teorie di Goodmann che tendono ad “annullare tutto equiparandolo” attraverso una negazione di ogni distinzione, portano ad elidere le cose a favore delle parole.

Egli rifiuta l’idea che ci si possa riferire ad un ciò di cui parliamo a prescindere dal come ne parliamo e che dietro ai diversi come si celi qualcosa di identico e di imperturbabile. Per Goodmann l’oggetto è ricondotto a un atto di costruzione; il fatto è sempre riportato ad una particolare versione della realtà (percettiva o fisica). Le versioni che trattano degli stessi fatti non sono molteplici perché indipendenti bensì inter-traducibili. I fatti, quindi, svaniscono in favore di certe parentele tra versioni, focalizzando l’analisi non sul linguaggio come già costruito e determinato ma sulle sue modalità di costruzione e sulle operazioni definitorie tramite cui si istituiscono le molte versioni della realtà. Se gli oggetti “assoluti” e i fatti “esterni” non rappresentano più la pietra di paragone per la significanza e la correttezza delle nostre costruzioni linguistiche, tuttavia queste ultime non hanno niente di arbitrario. Per Goodmann il simbolo è tutto ciò che stà per qualcosa. Questa libertà logica di cui gode in linea di principio la relazione di riferimento e simbolizzazione, ha il suo limite più serio proprio nel dover costruire versioni e visioni del mondo. Da un lato esse devono introdurre innovazioni di natura convenzionale, dall’altro fanno i conti col materiale di cui sono fatti: parole, numeri, suoni, figure. Questo materiale è il risultato della nostra opera storica di costruzione: in definitiva ci vincolano nell’immaginare nuovi mondi.

Sergio Mauri
Autore Sergio Mauri Blogger e studioso di storia, filosofia e argomenti correlati. Premio speciale al Concorso Claudia Ruggeri nel 2007; terzo posto al Premio Igor Slavich nel 2020. Ha pubblicato con Hammerle Editori nel 2014.
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