Arte e regimi politici: alcune considerazioni.

Alexey_Akindinov._Gagarin's_breakfast.
Alexey_Akindinov._Gagarin's_breakfast.

Dovendo scrivere sull’arte del ‘900 mi sono imbattuto nelle opere di diversi artisti cittadini di paesi retti da differenti regimi politici, tra i quali quelli che noi di solito amiamo definire dittatoriali, per distinguerli da noi. L’arte, come giustamente affermava il compianto Robert Hughes, non ha salvato mai alcuna vita, nemmeno nei paesi governati tirannicamente, forse ne ha costruttivamente indirizzate alcune. Inoltre, come sempre Hughes soleva dire, arte e democrazia spesso sono un binomio deludente. Molte stupende, entusiasmanti, antivedenti opere sono state altresì realizzate sotto i più discutibili regimi politici. Ci sono tuttavia delle osservazioni e delle distinzioni da fare quando si osservano o studiano le produzioni artistiche eseguite durante i Fascismi, i Comunismi e i Capitalismi nelle articolazioni storiche realizzatesi o tuttora esistenti. Ho usato il plurale per definire le tipologie politiche proprio perchè ognuna di esse ha più di una forma di vita.

Tullio Crali e il MART – il racconto di Anna Crali – YouTube

L’arte fascista spesso ripropone un mondo morto, un passato rimesso in scena e declinato come fosse possibile renderlo di nuovo operativo. Le dimensioni gigantesche delle architetture imperiali dall’EUR fino a Trieste, ripropongono per pura propaganda un passato tanto glorioso quanto remoto e sconosciuto. E’ un’arte retorica, celebrativa, che rappresenta la dimensione corporativa dell’ideale divisione sociale del lavoro, pur nella collaborazione fra diversi, necessaria al regime. Tuttavia, in essa vi è anche una parte decisamente d’avanguardia (per quanto il termine risulti discutibile) sia nelle intenzioni che nelle realizzazioni, come fu per il Futurismo, che non solo funge da celebrazione per i (veri o presunti) successi del regime ma pone l’accento su come dovrà adeguarsi il regime stesso e tutta la società italica ai tempi ed ai ritmi di vita che stanno irrompendo nella storia e che il regime ha intenzione di imbrigliare a proprio uso e consumo. La rappresentazione comunque deve sempre essere sterilizzata da possibili elementi di contraddizione sociale o politica. A quest’arte appartengono sicuramente il culto della personalità e la propaganda. Tuttavia abbiamo degli artisti che nella capacità tecnica più che nelle rappresentazioni pittoriche (limitate per motivi politici) sono astri di prima grandezza: basti ricordare un Giacomo Balla, un Tullio Crali (quello sopra è un video che parla di lui), un Cambellotti Duilio, Carlo Carrà, Fortunato Depero, Felice Casorati e molti altri.

L’arte comunista meglio conosciuta sotto il nome di Realismo Socialista, è pedagogica, propedeutica alla costruzione della società senza classi, proiettata al futuro e alla dimensione collettiva dello sforzo per costruire quel futuro. Si tratta di una forma espressiva, non  commerciale o commercializzabile, che non indulge a grosse sperimentazioni (se si eccettua il Futurismo che la Russia Bolscevica ha in comune con l’Italia) e che deve indicare il punto di arrivo della società (in prospettiva, di ogni società) a socialismo realizzato. I messaggi veicolati devono essere universali ed immediatamente comprensibili a tutti, riproducibili in un numero di copie virtualmente infinito, fornire gli strumenti ai cittadini sovietici e del campo socialista per contribuire alla costruzione della nuova società, o dell’uomo nuovo come si usava dire allora. I temi sono quelli del movimento dei lavoratori, di quello rivoluzionario; sono perciò temi che mettono in discussione, al contrario di ciò che succede nell’arte fascista, le strutture sociali tradizionali o di partenza. Il cinema è sicuramente un veicolo di primaria importanza e tutta l’arte assume la dimensione della lotta.

Bilbao_Jeff_Koons_PuppyL’arte nella società capitalista, in tutte le sue articolazioni, ha la caratteristica di essere apparentemente neutrale ma fondamentalmente ideologica perchè improntata al consumo che diventa la bandiera della società e dell’artista. Una divisa indossata dalle moltitudini. La produzione artistica, vendibile sul mercato è finalizzata alla sua valorizzazione finanziaria, inizialmente (da un punto di vista storico) nella sua veicolazione attraverso l’ artista singolo che crea il pezzo irripetibile (magari dopo essersi ispirato a decine di artisti ed opere) poi, con l’evoluzione della stessa società, come parte di un azienda con le strategie di marketing. Oggi, infatti, il singolo conta solo come brand mentre già la sua stessa biografia è ridotta a curriculum. La marcata dimensione ideologica dell’arte nella società capitalistica è dovuta al fatto che essa è funzionale alla riproduzione economica della stessa, in funzione della riproduzione della divisione in classi della società, dove il detentore dei mezzi economici viene prima di tutti glia altri, in particolare prima di ogni dimensione sociale, nella gerarchia dei valori propagandati. Il messaggio in questo caso è: esisto perchè consumo (e non mi deve interessare per quali interessi consumo).

E’, tuttavia, difficile dare un giudizio definitivo che dia il giusto valore alle ragioni di ognuno di questi contenitori politici delle forme espressive dell’essere umano. Già in apertura ho parlato di Robert Hughes e di quanto le sue osservazioni fossero perspicaci ma, forse, ciò che più è utile tenere presente con chiarezza è come nessuna forma d’arte sia scevra da influenze, addentellati, spinte che arrivano dal basso, ovvero dalla vita sociale reale e quotidiana di ogni forma di società umana nella sua naturale contradditorietà.

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