Anschluss. L’annessione. Un libro di Vladimiro Giacché.

Anschluss, il libro
Anschluss, il libro

Da dove iniziare la recensione di un libro come quello di Giacché? Non è una domanda retorica. I temi trattati sono così importanti da lasciare quasi senza parole. Ci proverò, iniziando dal fatto che, sulla fine del blocco sovietico ed in particolar modo degli stati satellite ne sappiamo ancora poco: quasi nulla è stato in verità scritto, in parte perché le prove dell’immane furto perpetrato dall’occidente a danno di quelle società e di quelle economie sono state occultate, in parte per la difficoltà stessa di maneggiare una materia così scabrosa e al contempo vasta. Le prove andavano fatte sparire e la memoria di che cosa è stata la DDR, ed il socialismo, occultata.

Il libro, che nel suo sottotitolo recita L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, parla appunto della riunificazione delle due Germanie a partire dalla crisi ultimale della Repubblica Democratica Tedesca. La tesi, molto ben documentata di Giacché è, non solo che la Germania occidentale ha fagocitato quasi gratuitamente e con una raffica di truffe legalizzate l’economia della DDR, peraltro con l’attivo aiuto dei sovietici che volevano liberarsi della patata bollente, ma che possiamo tracciare un parallelo tra quella riunificazione truffaldina  e l’unificazione europea, di cui si cominciano a vedere i frutti velenosi proprio in questi anni di crisi conclamata del capitalismo globale.

Senza girarci troppo attorno: il parallelo tra l’unificazione di allora e quella seguente a livello continentale, di cui oggi facciamo parte, è possibile perché il nucleo centrale in cui si muovono tutti gli attori sociali, economici e politici è sempre quello del capitalismo imperialista e delle sue leggi.

Insomma, la DDR è stata una specie di agnello sacrificale nel momento in cui l’Unione Sovietica ha dovuto farsi carico dello smantellamento del blocco socialista europeo. Si possono qui scomodare varie teorie, tutte abbastanza realistiche, sulla caduta del blocco sovietico, da quella della mancanza di riforme a quella del mancato aggiornamento dell’apparato produttivo, che comunque è collegata alla necessità di riforme, a quella, ancora, dell’inettitudine della leadership di quei paesi ad iniziare dall’Unione Sovietica. C’è tuttavia in piedi un’ipotesi (lui la chiama congettura) dell’economista Giorgio Gattei, ancora non smentita da nessuno, che parla dell’incidente di Cernobyl come della goccia che fece traboccare il vaso nella crisi del blocco sovietico. Con le colture contaminate – e l’URSS impossibilitata a pagare i propri debiti con l’estero contratti con l’acquisto obbligato di grano non contaminato dal Canada e con difficoltà di scambi agricoli nel Comecon – i sovietici si accartocciano definitivamente. La soluzione immediatamente percorribile è quella di fare una transazione: dare la DDR alla RFT in modo che l’URSS esca dalla crisi economica potendo ripagare innanzitutto i propri debiti.

Comunque, che le cose non andassero per il meglio in tutto il blocco sovietico è risaputo. Tuttavia l’economia della DDR non era per nulla disastrata, come si è sempre voluto far intendere e, a livello di debito, stava molto meglio di come quei Länder stiano oggi! Esisteva un apparato produttivo che garantiva tutti i fondamentali diritti sociali (casa, scuola, sanità, lavoro) alla collettività e il fatto che i tedeschi dell’est, ad esempio, avessero dovuto costruirsi le Trabant era il risultato dell’embargo tecnologico imposto dall’occidente. Inoltre, l’economia della DDR era fortemente orientata all’ esportazione,

Negli anni Ottanta la rivista statunitense  “American Machinist” collocava la Rdt al 5° posto nel mondo nella produzione di macchine strumentali e ancora nel biennio 1988/9 il contributo della Rdt alle esportazioni tedesche di macchinari (escludendo il commercio tra le due Germanie) era pari al 13 per cento del totale. Nel 2006 il contributo dell’ex Germania Est all’export tedesco si era ridotto al 5,7 per cento.

I numeri dell’economia tedesco-orientale prima della caduta del Muro,  nonostante l’occidente avesse posto dei limiti, una sorta di embargo – appunto – su tutta una serie di prodotti industriali, erano del tutto rispettabili, anche tenendo conto del fatto che si trattava di un piccolo paese. La distruzione di interi settori dell’economia, in gergo distruzione di valore,  operata ai danni della DDR, sarà così giudicata da Hans Modrow:

con la Rdt non è stato liquidato soltanto uno Stato indipendente, ma anche un territorio autosufficiente dal punto di vista industriale ed economico.

Le privatizzazioni a bassissimo costo delle imprese o meglio dell’intera economia della DDR è consistita in una gigantesca distruzione di valore, cioè svalorizzazione e distruzione fisica di capitale fisso e di capitale umano. Un processo di deindustrializzazione su vasta scala, a vantaggio predatorio del capitale vincente, come non si era mai visto in Europa, se non forse in tempo di guerra. L’operazione unificazione è stata essenzialmente economica e si può ricapitolare con l’affermazione di Christa Luft, secondo cui

ha avuto luogo un’accumulazione originaria di proporzioni gigantesche.

Si è trattato, perciò, di accumulazione tramite espropriazione. L’operazione ha rafforzato il capitale occidentale realizzando un vero e proprio salto di qualità, permettendo alla Germania un cambio di dimensioni sia a livello territoriale che di popolazione e di peso politico, di cui oggi stiamo pagando tutti le conseguenze. Per la DDR, invece, si è trattato di venire ricacciati ad uno stadio di sviluppo praticamente preindustriale. Parliamo, quindi, di una parte della Germania che fino al 1990 riusciva a provvedere a se stessa ed ora non è praticamente più in grado di farlo. Ma lasciamo parlare ancora l’autore:

[…] la RDT nel 1989 non era affatto insolvente, né a rischio di insolvenza nel breve termine. E’ ben noto che, con riferimento ai debiti, la questi0ne decisiva in generale non è il livello assoluto di indebitamento, ma la capacità di ripagare i debiti in scadenza. […] Ma anche da questo punto di vista la RDT non era in emergenza. E in ogni caso il patrimonio dello Stato era di gran lunga maggiore del debito. La seconda è che, in relazione alle cifre odierne dell’indebitamento di stati, regioni e città – a cominciare proprio dai Laender dell’est – il suo debito esteropuò far sorridere: basti pensare, per limitarsi a un esempio, che i debiti della sola città di Berlino nel 2006 superavano i 60 miliardi di euro: ossia circa 4 volte i debiti verso l’occidente della RDT, (v. Steinitz 2007: 31, che considera un tasso d’inflazione del 30 per cento nel periodo). Il debito dei comuni è stato di 12 miliardi di euro nel solo 2010. E i soli abitanti della città di Potsdam e di due distretti dell’est sono oggi, in quanto cittadini della Germania, più indebitati di quanto lo fosse l’intera RDT.[…]

Ovviamente nessuno nega ci fossero dei problemi di arretratezza strutturale e dell’apparato produttivo della RDT, soprattutto se confrontati con quelli della RFT, ma dobbiamo ricordare che la RFT ricevette degli aiuti importanti dagli USA attraverso il Piano Marshall e smise di pagare quasi subito i danni di guerra all’URSS che a quel punto furono pagati dai tedeschi dell’est. Il sistema produttivo sarà anche stato non al passo con i tempi, ma le capacità di innovare e di ideare erano certamente altissime. Leggetevi queste righe che, oggi, hanno dell’incredibile:

[…] Clamoroso il caso del produttore di frigoriferi Foron di Scharfenstein. Monopolista nella RDT, Foron fabbricava oltre un milione di frigoriferi all’anno ed esportava in 30 paesi sia all’est che all’ovest (per esempio, era un fornitore della catena di vendita per corrispondenza Quelle). Nonostante il colpo severo ricevuto con il cambio alla pari tra il marco orientale e il marco della RFT, la società riuscì a continuare la produzione e nel 1992 conseguì un grande risultato: riuscì a sviluppare e produrre, in collaborazione con Greenpeace e con l’istituto d’igiene di Dortmund, il primo frigorifero del mondo senza fluoroclorocarburi (FCC): ossia il primo frigorifero che non contribuiva  al buco dell’ozono né al riscaldamento globale, in quanto utilizzava come mezzo di raffreddamento il gas butano e il gas propano. La Treuhandanstalt tentò di vietare la conferenza stampa congiunta di Greenpeace e Foron in cui era presentato questo prodotto rivoluzionario, ma non ci riuscì. Nell’agosto 1992 arrivarono 65mila ordinativi, che in breve crebbero sino a 100mila. A questo punto il cartello di produttori occidentali (citiamoli: Siemens, Bosch, AEG, Bauknecht, Miele, Electrolux e Liebherr) emise un comunicato congiunto in cui si diffidavano i rivenditori dall’acquistare questi frigoriferi: non funzionavano, consumavano troppa energia, e per la clientela comprarli sarebbe stato come mettersi “una bomba in cucina” (sic!). Tutto falso, ovviamente. Questi frigoriferi consumavano meno degli altri, e nessuna prova poté essere recata per l’affermazione diffamatoria delle ditte del cartello dell’ovest.  Ma al primo frigorifero senza Fcc del mondo fu sottratto in questo modo truffaldino il suo mercato. E le ditte dell’ovest poterono intanto cominciare a sostituire il Fcc con il tetrafluoretano (che a differenza di butano e propano è dannoso per l’ambiente: dal 2011 l’Unione Europea ne ha proibito l’uso anche negli impianti di climatizzazione delle automobili), e pochi mesi dopo furono in grado di replicare la tecnologia di Foron e di vendere in prima persona quella “bomba da cucina”. […]

Se c’è qualcuno che ancora ama il modo di produzione in vigore in occidente, con annessi e connessi politici, si faccia avanti. Ma qualche parola dobbiamo spenderla pure sulla Treuhand, creata apposta per rilevare a pochi soldi il patrimonio della DDR, in uno stile coloniale:

La verità incontestabile è che la Treuhand ha contribuito in misura non piccola a quella che Hans Modrow ha definito come la “distruzione della base industriale della Germania Est”: una distruzione “di entità tale che nella storia economica mondiale è senza precedenti in tempi di pace ed è estremamente rara anche in tempi di guerra”.

Lo stesso dato di fatto […] lo troviamo nel commento dell’allora direttore della “Wirtschaftswoche”, Wolfram Engels, ai dati di consuntivo della Treuhand: “La vecchia RDT era un paese assolutamente solido almeno sotto un profilo: il patrimonio dello Stato era un multiplo del debito pubblico. La Repubblica Federale ha ereditato questo intero patrimonio” con l’ingresso della Repubblica Democratica Tedesca nel suo perimetro: “quasi l’intero apparato industriale, parti considerevoli del patrimonio immobiliare, delle superfici agricole e forestali. La valorizzazione di questo patrimonio non ha comportato alcun surplus, ma al contrario ha richiesto un ulteriore apporto superiore a 250 miliardi. E oggi ci raccontano che quel patrimonio non valeva nulla”.

Ovviamente il capitalismo occidentale ed in primis quello tedesco non hanno agito solo sul piano economico, ma anche su quello culturale, giudiziario e politico. Il nazifascismo, nonostante si nasconda molto bene tra le pieghe della dialettica politica con il liberalismo, è assodato essere il figlio legittimo del capitalismo, pertanto

Non uno solo dei giudici nazisti che avevano comminato centinaia di condanne a morte agli oppositori del regime finì in galera nella Repubblica Federale. Per il giudice Hans-Joachim Rehse, che aveva mandato a korte 231 persone, nel 1963 non fu ritenuta provata la “distorsione del diritto” (Rechtsbeugung). Ben 139 giudici e pubblici ministeri della RDT furono invece condannati per “distorsione del diritto”, e 9 di loro finirono in carcere; […]

Tornando all’economia, possiamo farci ora la domanda, che si pone anche Giacché nel suo libro: è possibile un parallelo tra quel tipo di unificazione e l’unificazione europea e come questo parallelo si caratterizza? C’è una possibilità di comparazione tra i due fenomeni. Possiamo quindi operare un parallelo di confronto tra i due, ricordando innanzitutto che la configurazione attuale del capitalismo europeo e dei rapporti ad esso connaturati è impensabile senza l’annessione della DDR. In primo luogo attraverso quel fatto la Germania ha riconquistato la centralità geopolitica in Europa, alterando gli equilibri europei. Attraverso il vincolo monetario si è imposto un vincolo politico: non è vero che l’Europa sia politicamente debole. Può essere divisa, ma non debole. E comunque deve rimanere unita per la questione monetaria, legata alla valorizzazione del capitale investito nel suo perimetro e fuori. Da lì, come dall’unificazione monetaria delle due Germanie, nasce il vincolo che si vuole indissolubile. Se questo non è vincolante ditemi voi che cosa può esserlo!

C’è poi un ulteriore mito da sfatare intorno alla Germania e al suo relativo benessere, che ci fa parlare dei lavoratori tedeschi come di un’aristocrazia operaia. In Germania, attualmente, i lavoratori a basso salario sono il 24,1 per cento del totale. Ci sono in particolare quasi sette milioni e mezzo di lavoratori che lavorano con i cosiddetti minijobs, ovvero dei lavori a tempo parziale pagati 450 euro al mese. Alla fine del 2012 c’erano in Germania 822mila lavoratori in affitto (cifra destinata ad aumentare). In espansione anche i contratti per prestazione d’opera: contratti di lavoro precario con cui vengono progressivamente ricoperte posizioni professionali tipiche del lavoro dipendente. Questo tipo di contratti si applica oggi al 75 per cento di chi lavora in un mattatoio e al 20 per cento di chi lavora negli zuccherifici e nei cantieri.

Questo contribuisce non solo alla crescita economica, ma anche a quella della povertà. La percentuale di tedeschi a rischio povertà è in crescita ed ha superato il 20 per cento della popolazione. Aumenta, contemporaneamente, la polarizzazione della ricchezza. In definitiva, augurandovi di leggere questo formidabile libro, si impongono alcune riflessioni a chiudere questa recensione. La prima: il crollo del sistema sovietico e dei suoi paesi satelliti socialisti è stata una gran fregatura soprattutto per chi ci viveva. La seconda: il capitalismo è fallito tanto più miseramente quanto più continua a ripetere di essere l’unico ed il migliore sistema di organizzazione socioeconomico delle collettività umane; si tratta della solita operazione di manipolazione sottoculturale che chiamiamo pensiero unico neoliberista. Terzo: è ora di finirla di girare intorno ai problemi e finalmente reagire ricominciando a parlare di lavoro, imperialismo europeo, socialismo.

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